Sono stati necessari quasi due mesi all’FBI per sbloccare un iPhone 11 dotato dell’ultima versione di iOS 13 a bordo. L’iPhone in questione era di proprietà di Lev Parnas, un associato di Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York e personaggio centrale all’interno della campagna che ha spinto l’Ucraina ad investigare contro i rivali politici del Presidente Trump.
Su Parnas pende un’investigazione ancora in corso riguardante fondi stranieri utilizzati per foraggiare la scorsa campagna elettorale degli Stati Uniti, e manipolarne i risultati. Il suo iPhone 11, insieme ad altri documenti e dispositivi, è stato sequestrato dallo stesso tribunale che segue le indagini contro Donald Trump.
Non è il primo iPhone di ultima generazione che l’FBI è riuscito a sbloccare: recentemente, il Federal Bureau of Investigation ha sbloccato un iPhone 11 Pro Max utilizzando GrayKey, un prodotto creato per poter aggirare le protezioni degli iPhone, resosi necessario dato che Apple si è rifiutata più volte in passato di collaborare con la giustizia, almeno secondo le richieste delle agenzie governative.
Privacy o sicurezza?
A più riprese è stato infatti chiesto di inserire backdoors all’interno dei propri dispositivi, ovvero delle porte d’ingresso nascoste che consentano alle forze dell’ordine di poter superare le restrizioni imposte in caso di gravi attentati alla minaccia nazionale, come accade nel caso di sospetti o confermati terroristi, o quando una potenza straniera interviene profondamente nelle dinamiche elettorali di un altro paese.
Profondamente convinta a proteggere la privacy dei propri utenti, Apple ha a più riprese respinto ogni tipo di collaborazione con NSA e FBI, rifiutandosi non solo di installare backdoor sui propri dispositivi, ma anche irrobustendo la sicurezza di software e hardware, oltre ad adottare altre soluzioni a garanzia dei suoi clienti. Proprio l’aspetto privacy è stato al centro di una tavola rotonda in cui anche Apple è stata invitata, durante il CES di Las Vegas, un palco da cui la compagnia di Cupertino mancava dal 1993.
Come l’FBI ha sbloccato l’iPhone 11
Tornando all’iPhone 11 sbloccato, è stato possibile per l’FBI eseguire tale operazione grazie a GrayKey, un dispositivo hardware prodotto da Grayshift. Questo pericolosissimo dispositivo dovrebbe essere a disposizione solo di forze governative e membri delle forze dell’ordine, in un mondo ideale; in realtà l’esistenza stessa di un prodotto in grado di aggirare le misure di sicurezza di un device diventato tanto importante da custodire tutti i nostri dati e segreti è davvero pericolosa. Significa che la nostra privacy non è al sicuro da nessuno, soprattutto se un device del genere cade nelle mani di malintenzionati.
Da una parte, comprendiamo la necessità delle forze dell’ordine di sbloccare dispositivi contenenti informazioni fondamentali alle indagini anche contro la reticenza dei proprietari; dall’altra parte, non possiamo non domandarci se sia eticamente corretto effettuare un’operazione del genere, e fino a che punto può o deve spingersi uno Stato ed i suoi organi pur di arrivare a prevenire le minacce che lo colpiscono dall’interno o dall’esterno.
Gli iPhone 11 sono sicuri?
Gli attuali iPhone 11 e iOS 13 sono considerati, al momento, come una delle accoppiate hardware/software più sicure al mondo per la sicurezza dei propri dati. Ad esempio, è proprio di questi giorni la notizia che gli iPhone possono essere utilizzati come chiavi di sicurezza fisiche, proprio grazie all’implementazione di una porzione di memoria sicura. Con l’exploit dell’FBI ci sono, potenzialmente, oltre un miliardo di dispositivi con a bordo iOS/iPadOS in grado di essere violati. Apple non ha commentato il report dell’FBI sullo sblocco dell’iPhone 11 in possesso di Parnas.
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