Il tema delle sanzioni di Stati Uniti e alleati contro la Russia, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, continua ad essere molto dibattuto in ogni parte del mondo. Se in larga parte dell’opinione pubblica sembra consolidarsi il parere che a rimetterci siano soprattutto coloro che le emettono, anche in alcuni governi sembrano sempre più forti le preoccupazioni relative al fatto che le maglie, alla fine, possano rivelarsi troppo larghe, permettendo a Putin di aggirare l’embargo.

In particolare, sono molti coloro che continuano a ventilare l’ipotesi che il governo di Mosca possa utilizzare le criptovalute, a partire dal Bitcoin, per farsi beffe dell’ostracismo capitanato da Washington e Bruxelles. Anche perché, al momento, troppi Paesi hanno negato la possibilità di partecipare al provvedimento, partendo dagli altri BRICS (Brasile, India, Cina e Sudafrica). Una decisione che smonta già in partenza la narrazione di una Russia sull’orlo del default.

Paesi i quali non solo sono molto grandi rappresentando mercati di grande valore, ma che sembrano ormai decisi a sganciarsi dalla tutela dell’Occidente, ove già non abbiano proceduto in tal senso, tanto da spingere Biden a minacciare sanzioni alla Cina, ove essa non partecipasse al blocco verso la Russia. Un’arma che, secondo gli esperti, è ormai largamente spuntata.

Bitcoin in cambio di gas e petrolio?

Com’è noto, le sanzioni nei confronti della Russia prevedono l’utilizzo del dollaro e di altre valute come strumento per mettere a dieta l’economia russa e portare in tal modo al sorgere di un movimento di protesta interno.

Per quanto riguarda il fronte interno, al momento sembra che però Putin riesca a reggere ampiamente il colpo. Forte non solo di un consenso esplicitato dai risultati delle ultime elezioni politiche, ma anche del fastidio sempre più evidente per la russofobia che sembra pervadere in questo momento l’Occidente.

Rimane quindi il fronte dell’economia, su cui Stati Uniti e Unione Europea sembrano fare molto affidamento, per piegare Mosca. In questo caso, però, le note sembrano al momento dolenti. Non solo molti Paesi, a partire proprio dall’Italia, iniziano a risentire in maniera molto forte i contraccolpi della mancanza di materie prime fondamentali, ma il governo russo sembra intenzionato a non escludere alcun mezzo per sottrarsi alle sanzioni.

In particolare, tra i mezzi che potrebbero rivelarsi adatti allo scopo, ci sono anche le criptovalute, a partire dal Bitcoin. Andiamo a vedere perché stia prendendo sempre più forza questa ipotesi e se si tratti di una minaccia concreta.

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La Russia sta seriamente pensando alle criptovalute

Nel corso di una conferenza stampa videoregistrata, il Presidente della Commissione per l’energia della Duma russa, Pavel Zelezny, ha affermato che il Paese potrebbe adottare maggiore flessibilità per quanto riguarda i pagamenti, coi Paesi amici, a partire da Cina e Turchia.

Tradotto nel concreto, ciò potrebbe spingere la Russia ad accettare non solo le valute fiat di questi Paesi, ma anche il Bitcoin, una mossa che potrebbe avere notevoli implicazioni anche sui mercati valutari. Da un lato rafforzerebbe lo yen in un momento in cui la CBDC (Central Bank Digital Currency) di Pechino si appresta a sfidare il potere imperiale del dollaro, mentre dall’altro potrebbe far rialzare la testa all’icona crypto, dopo mesi di notevole sofferenza a livello di quotazione.

Non a caso BTC nel corso delle ultime 24 ore ha iniziato a crescere a ritmi abbastanza sostenuti, accumulando un +4% il quale ne ha riportato il valore a quota 44mila dollari. Un livello che potrebbe rivelarsi presto la base per una nuova bull run, proprio in considerazione delle cifre le quali potrebbero essere movimentate in tal modo, con l’export di gas e petrolio russi.

Le dichiarazioni di Zelezny arrivano a poche ore di distanza dalla promessa di Putin relativa all’obbligo di pagare in rubli il gas, rivolta ai paesi “ostili”, a partire da quelli dell’UE. Un annuncio il quale non ha tardato a produrre i suoi risultati: il prezzo del gas, infatti, è subito salito alle stelle in Europa, proprio per i timori che la mossa vada ad aggravare un mercato già sotto enorme pressione.

La CNBC ha fatto presto capire quanto sta accadendo, affermando di aver parlato con non precisate fonti, le quali avrebbero affermato che a differenza degli Stati Uniti, il cui governo ha dichiarato il blocco nei confronti del gas moscovita, l’UE non avrebbe alcuna intenzione di praticare la stessa strada.

Dichiarazioni che sembrano confermare come, in realtà, se la Russia è in difficoltà, l’eurozona potrebbe presto ritrovarsi in una crisi di incalcolabili conseguenze e difficilmente spiegabile ai ceti sociali più deboli, quelli che hanno pagato in maniera salata nel corso dell’ultimo quindicennio la crisi economica conseguente allo scoppio della bolla dei Mutui Subprime e quella che ha fatto seguito alla pandemia di Covid.

Una strategia non improvvisata

La strategia di diversificazione valutaria, però, non è una decisione conseguente allo scoppio delle ostilità in Ucraina. Secondo il co-fondatore di Coin Metrics, Nic Carter, la Russia starebbe lavorando in tal senso dal 2014, quando ha iniziato a disinvestire le obbligazioni statunitensi.

Nel farlo ha tenuto nel debito conto il fatto che il gigante eurasiatico ha una cosa di cui tutto il mondo necessita, ovvero il gas naturale, di cui è il primo esportatore globale. Con il passare degli anni, peraltro, proprio Putin ha mutato il suo parere sul Bitcon. Se sino al 2021 pensava non fosse un asset in grado di sostituirsi al dollaro nei traffici petroliferi, come dichiarato a Hadley Gamble di CNBC, ora avrebbe mutato opinione.

La conseguenza potrebbe tramutarsi quindi in una massiccia adesione della Russia all’economia crypto. Una mossa la quale, peraltro, avvicinerebbe sempre di più l’adozione di massa delle criptovalute. Dando peraltro luogo ad un risultato abbastanza ironico: da un lato gran parte del settore favorevole a sostenere l’Ucraina, dall’altra il cattivo della situazione come grande protagonista della rivoluzione monetaria vaticinata da Satoshi Nakamoto.

Uno sviluppo il quale sembra essere stato intuito per larga parte da Larry Fink, l’amministratore delegato di BlackRock. Proprio lui, in una lettera indirizzata ai suoi azionisti, ha infatti affermato che la guerra in Ucraina potrebbe accelerare con grande forza l’adozione di valute digitali da parte delle banche centrali.

Se il suo riferimento è alle CBDC, non è possibile ignorare il fatto che a giovarsi della situazione sarebbe l’intero comparto, comprese le criptovalute private. Una evoluzione che sembra peraltro ineluttabile, considerata la recente pubblicazione di un documento in cui sono esaminati eventuali vantaggi e svantaggi collegati al debutto di un dollaro digitale. Ipotesi sempre più concreta dopo l’ordine esecutivo di Joe Biden, che ha in pratica indicato nelle valute virtuali un vero e proprio asset strategico per gli Stati Uniti.

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