Dall’Iran giunge una notizia che conferma quanto sostenuto da alcuni analisti ormai da tempo, ovvero che le criptovalute potrebbero rivelarsi una notevole arma di geopolitica. La repubblica islamica mediorientale, infatti, ha proceduto all’effettuazione del primo pagamento di importazioni in valuta virtuale.
Com’è ormai noto, il Paese affacciato sul Golfo Persico è da anni sottoposto a sanzioni da parte di Stati Uniti e alleati, per la questione relativa al nucleare. Un embargo il quale ha provocato notevoli danni all’economia iraniana e disagi in molti settori, compreso quello sanitario, senza però fiaccare la voglia di resistere a quella che il governo di Teheran denuncia come una indebita ingerenza negli affari interni del Paese.
Proprio per aggirare il provvedimento, negli ambienti governativi si è a lungo discusso sull’opportunità di utilizzare Bitcoin e Altcoin, notoriamente in grado di assicurare riservatezza alle transazioni. Una discussione la quale sembra essere stata ora risolta con grande decisione dalle autorità politiche. È stato un tweet di Alireza Peymanpak, numero due del Ministero dell’Industria a spazzare via ogni dubbio al proposito: “Questa settimana è stato emesso con successo il primo ordine di importazione ufficiale con criptovaluta del valore di 10 milioni di dollari. Entro la fine di settembre, l’uso di criptovalute e smart contract sarà diffuso nel commercio estero con i paesi target.”
Indice:
Le reazioni all’annuncio dell’Iran
L’annuncio di Teheran ha naturalmente fatto drizzare le antenne a Washington e dintorni, ove si continua a privilegiare il blocco economico come migliore strumento di pressione possibile sull’Iran. Sempre Twitter ha quindi ospitato la prima reazione di rilievo in tal senso, quella di Tim Anderson, scrittore e accademico che dirige il Centre for Counter Hegemonic Studies. Proprio lui ha infatti affermato sul social media: “L’Iran sta ora usando le criptovalute per aggirare il blocco statunitense. Alireza Peymanpak, vice ministro del Commercio Iraniano, ha dichiarato martedì che l’ordine ufficiale di importazione valeva circa 10 milioni di dollari.”
Occorre comunque precisare che la decisione di utilizzare asset virtuali come strumento di pagamento è ormai vecchia di un anno. La banca centrale del paese mediorientale aveva già fornito il suo consenso e si trattava quindi soltanto di capire quando sarebbe avvenuta la prima transazione in criptovalute tesa ad aggirare le sanzioni occidentali.
Si tratta comunque di un evento molto importante, per quanto riguarda la geopolitica. Se il dollaro ha dato modo agli Stati Uniti di dominare la scena internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale, ora il suo potere imperiale sembra essere decisamente sotto attacco. Un attacco reso possibile proprio dagli asset virtuali, compreso quello yuan digitale il quale dovrebbe esordire entro la fine dell’anno. Un debutto che sta mettendo in fibrillazione non pochi osservatori.
Criptovalute, non solo l’Iran intende utilizzarle
L’Iran sta dimostrando grande attivismo nel corso degli ultimi mesi. La repubblica islamica ha infatti espresso anche la sua intenzione di aderire al gruppo denominato BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il quale sta assumendo una importanza sempre più rilevante a livello geopolitico, tanto da spingere alcuni osservatori ad affermare che al momento sono i Paesi occidentali ad essere isolati.
Per poter spezzare in maniera definitiva la cosiddetta era americana, però, sono necessari anche strumenti finanziari in grado di togliere a Washington l’arma sinora rappresentata dal dollaro. Non a caso nelle ultime settimane si è iniziato a parlare di una moneta alternativa al biglietto verde emessa dai BRICS, la quale potrebbe rappresentare una ulteriore insidia per la divisa statunitense.
La Cina, intanto, prosegue i suoi test sulla CBDC (Central Bank Digital Currency), indicata da molti analisti come lo strumento in grado di spazzare via il dominio finanziario del dollaro. Lavori i quali hanno provocato notevoli allarmi nella parte più avvertita dell’opinione pubblica a stelle e strisce, senza però reazioni apprezzabili da parte dell’amministrazione Biden. Se è vero che l’inquilino della Casa Bianca ha dato vita ad un ordine esecutivo in cui dichiarava il valore strategico di un dollaro digitale, al momento non si hanno notizie di lavori in tal senso.
In questo quadro, molti Paesi sanzionati da Washington hanno da tempo deciso di rivolgersi alle criptovalute. Il primo in tal senso è stato il Venezuela, ove Nicholas Maduro non solo ha varato il Petro, valuta virtuale di Stato garantita dalle straordinarie risorse minerarie e petrolifere del Paese, ma anche accelerato verso l’economia digitale. Anche altri governi, però, stanno valutando l’ipotesi di creare proprie CBDC o, comunque, favorire le transazioni in criptovaluta.
Un esempio in tal senso è rappresentato da El Salvador, ove il presidente Nayib Bukele ha varato la Bitcoin Law, la quale rende l’icona crypto moneta a corso legale, affiancando il dollaro. Non a caso la sua decisione è stata ampiamente criticata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), che vede alla stregua di fumo negli occhi ogni ipotesi tesa a sconvolgere l’attuale assetto finanziario globale.
Una critica che, però, non sembra aver sortito effetti, se si considera come ora Bukele abbia deciso di dare vita ad una stablecoin statale, nonostante i timori legati a questo particolare tipo di criptovalute, dopo il crac di Terra e l’effetto domino da esso scatenato. Il piccolo Paese del Centro America rischia però di essere soltanto la classica punta dell’iceberg.
Le criptovalute sono sempre più presenti nella vita reale
Le criptovalute, infatti, nonostante il crypto winter in atto continuano ad aumentare la propria influenza nella vita reale. Un fenomeno evidente soprattutto in Sudamerica, ove un numero crescente di lavoratori e pensionati a basso reddito si rivolge a Bitcoin e altri token per sfuggire alla morsa dei livelli inflattivi troppo elevati. Queste persone preferiscono correre il rischio collegato alla ormai tradizionale volatilità degli asset digitali piuttosto che rassegnarsi alla perdita istantanea, o quasi, delle valute tradizionali.
Una tendenza che è stata del resto notata da molti, in particolare da un rapporto pubblicato dagli analisti di Bitstamp, in cui si indica chiaramente l’America Latina come la parte di mondo ove le criptovalute stanno dimostrando tutte le loro potenzialità. Il passaggio dalla vita reale alle transazioni relative all’import-export sembra quindi la logica conseguenza della presa d’atto di una reale utilità degli asset virtuali.
Una sorta di controsenso, alla luce della continua frana delle quota delle quotazioni della stragrande maggioranza dei token sul mercato, il quale è però soltanto apparente. Un conto è l’aspetto puramente speculativo su cui agiscono i trader cercando di trarre vantaggio dalle variazioni di prezzo, ben altro è l’ormai evidente utilità degli asset virtuali, in un mondo che corre a tappe forzate verso la digitalizzazione. Un processo cui, con tutta evidenza, difficilmente può sfuggire il denaro.
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