Oggi ci occupiamo di SSD, o Solid State Disk, un termine che per i giovani appassionati (o esperti) di computer e periferiche di storage probabilmente non ha lo stesso significato che possono attribuire i “veterani” del mondo tech, per intenderci tutti quegli utenti che hanno vissuto il momento d’oro degli hard disk rotativi con l’epocale passaggio alla prima generazione di SSD consumer con interfaccia Serial ATA.
Vista la mancanza di questo background, se così vogliamo chiamarlo, per molti potrebbe essere quasi superfluo mettere in discussione un SSD, ormai praticamente presente su tutti i PC di nuova generazione, quantomeno come disco primario per il sistema operativo. Detto questo, non staremo certo a fare un paragone tra i Solid State Disk e i classici hard disk a piatto, argomento ormai superato da anni, mentre l’esplosione del mercato degli SSD merita a nostro avviso qualche suggerimento che possa tornare utile a chi si avvicina per la prima volta a questo mondo.
In questa guida su come scegliere un SSD cercheremo di fare chiarezza sugli aspetti tecnici di base che caratterizzano queste periferiche di memorizzazione, allargando la visione agli SSD interni ed esterni e, allo stesso tempo, provando come di consueto a trattare il tutto con la massima semplicità.
Indice:
Come scegliere l’SSD: le cose da sapere
L’argomento SSD, ma più in generale periferiche di storage, si può definire abbastanza vasto, soprattutto se guardiamo all’evoluzione e all’adozione su larga scala che questi dispositivi hanno avuto negli ultimi anni in tutti i segmenti dell’industria. Come anticipato sopra, non si discute più di SSD vs HDD e, oltre ai costi per gigabyte decisamente a favore di questi ultimi, sappiamo tutti che prestazionalmente qualsiasi SSD è nettamente più veloce del migliore hard disk rotativo in commercio.
Sia chiaro, i cari e vecchi hard disk hanno ancora un’ampia diffusione e sono l’opzione prediletta per lo storage, non solo se guardiamo al settore consumer, ma anche se ci spostiamo in ambiti professionali e/o aziendali. Lasciando da parte questa ulteriore sfaccettatura sul market-share, possiamo affermare senza problemi che qualsiasi utente che si appresta ad aggiornare un hard disk con un SSD, magari sulla stessa macchina, noterà subito una differenza abissale che lo spingerà a non tornare più indietro. Ma qual è il motivo dietro a questo netto salto generazionale?
Vediamolo subito.
Perché un SSD è migliore di un hard disk?
Se avete anche la minima dimestichezza con il mondo dell’hardware e più in generale dei PC e dei notebook, saprete senza dubbio che, a differenza degli hard disk rotativi a piatto, gli SSD non utilizzano parti mobili / meccaniche, una caratteristica decisiva che impatta direttamente sul tempo di accesso all’unità disco, con tutti i benefici che ne conseguono. La meccanica di un hard disk rappresenta un collo di bottiglia importante, basti pensare che un buon hard disk può avere un tempo di risposta nell’ordine dei 9-12 millisecondi, mentre per un SSD scendiamo almeno a 10 nanosecondi, ovviamente con tutte le variabili messe in campo per interfaccia, memorie utilizzate e controller, tutte cose che ora analizzeremo velocemente.
Pur andando incontro ad altre problematiche come ad esempio il degrado, l’SSD è decisamente più semplice ed economico da realizzare, offrendo inoltre una scalabilità (a parità di form-factor) nettamente superiore grazie all’evoluzione dei controller PCI-E e delle memorie NAND, il vero cuore di un SSD. Per chiudere questo breve confronto, che ovviamente vede gli SSD superiori anche per quanto riguarda l’efficienza energetica, l’architettura dei vecchi hard disk non ha permesso di andare oltre l’interfaccia Serial ATA 3 a 6 Gbps (citiamo anche i SAS), con prestazioni che nei migliori casi può superare i 200 MB/s, sino a 260 MB/s sui più recenti modelli.
Tanto per essere chiari, un SSD SATA 3 a 6 Gbps di vecchia generazione e da pochi euro può arrivare senza problemi al doppio delle prestazioni di questi HDD a piatto, figuriamoci i più recenti SSD con interfaccia PCI-E 5.0 0 PCI-E 4.0, anche 30-50 volte più veloci in termini di trasferimento dati rispetto a un hard disk classico.
Come scegliere un SSD: facciamo chiarezza su tipologie e caratteristiche
Avere dimestichezza con la scheda tecnica di un SSD può tornarci molto utile nel momento in cui ci troviamo ad assemblare un nuovo PC o, scenario altrettanto frequente, decidiamo di fare un aggiornamento su una macchina che ancora “gira” su un vecchio hard disk meccanico. Quando siamo di fronte all’acquisto di un nuovo SSD ci sono due elementi primari che ci devono indirizzare, il formato e l’interfaccia utilizzata; la prima è una caratteristica prettamente fisica che in caso di incompatibilità ci impedisce di utilizzare il disco, la seconda non si discosta molto ma, al netto di compatibilità dello standard, influenza in modo determinante le prestazioni.
Prima di andare avanti una piccola premessa sulle tipologie di SSD che possiamo reperire sul mercato. Come certamente saprete, gli SSD al pari degli hard disk possono essere interni o esterni, o meglio, possono essere adoperati come dischi di sistema o periferiche di memorizzazione esterne, magari per lo storage, la nostra collezione di giochi preferiti oppure per il backup. Degli SSD esterni parleremo tra poco, mentre gli SSD interni possono utilizzare la classica interfaccia SATA con form-factor da 2,5″ (o M.2) oppure la più diffusa interfaccia PCI-E (NVMe), quasi esclusivamente con il connettore M.2. In entrambi i casi, ovvero SSD interno ed esterno, le caratteristiche a cui dovremo porre attenzione sono quasi sempre le stesse, soprattutto se si guarda all’affidabilità dell’SSD e alla sua durata nel tempo. Ma andiamo a spulciare le varie voci della scheda tecnica di un Solid State Disk.
Formato
Per formato di un SSD intendiamo il form-factor con cui vengono “confezionate” le componenti che compongono il drive. I primi SSD in commercio, quelli Serial ATA per intenderci, avevano e hanno il classico formato da 2,5″ pollici (7 mm di spessore) comune agli hard disk della stessa dimensione. Successivamente c’è stato il boom del formato M.2, decisamente più compatto e con una tipologia di connettore diverso che deve trovare compatibilità sul PCB della scheda madre.
Le motherboard più recenti, anche economiche, hanno almeno uno slot per SSD M.2, solitamente con interfaccia PCI-E, ma non dimentichiamo che col formato (connettore) M.2 sono disponibili anche diversi modelli di SSD Serial ATA (o SATA), fisicamente simili ma con prestazioni decisamente inferiori ai PCI-E in quanto non vanno comunque oltre i 6 Gbps. In commercio troviamo anche altri formati come l’U2, ma in questo caso iniziamo a uscire fuori dal contesto dei prodotti consumer.
Interfaccia
L’interfaccia è un’altra caratteristica decisiva per un SSD. Fatta eccezione per gli SSD M.2 SATA più economici (ed mSATA) a 6 Gbps, nella maggior parte dei casi siamo di fronte a dispositivi che sposano l’interfaccia PCI-E nelle varie revisioni, ovvero PCI-E 3.0, PCI-E 4.0 e PCI-E 5.0 per i prodotti più innovativi come il Corsair MP700 PRO che avevamo provato qualche tempo fa.
Ricordando che gli SSD di questo tipo sono del tutto retrocompatibili, quindi il drive funzionerà comunque una volta inserito nello slot M.2, la presenza o meno del supporto per una determinata interfaccia ci dirà dove potremo spingerci con le prestazioni e di conseguenza con l’acquisto o meno di un SSD più o meno recente. Per avere un termine di paragone rapido, pensate che un SSD M.2 SATA non va mai oltre i 550-560 MB/s di transfer-rate, mentre un SSD PCI-E 3.0 x4 (a 4 piste) può arrivare a 3.500 MB/s, superando invece i 7.000 MB/s con il PCI-E 4.0 x4 e addirittura raddoppiando questo valore con i modelli più recenti di SSD PCI-E 5.0 x4 (oltre 13.000 / 14.000 MB/s).
Capacità
Per la capacità non dobbiamo fare discorsi molti complessi o articolati. Lo svantaggio di un SSD rispetto a un disco rotativo, se così si può definire, è sicuramente il costo per gigabyte, ma questo ormai è risaputo e rappresenta se vogliamo un punto fermo di questa tecnologia, capace come detto di stravolgere le prestazioni rispetto ai dischi di un decennio fa. A oggi il costo per gigabyte degli SSD è calato drasticamente, tuttavia la maggior parte dell’utenza utilizza ancora un hard disk classico per lo storage dei dati o i backup, non solo per i costi però ma anche per una questione di affidabilità.
Se avete budget a sufficienza, il nostro consiglio è di utilizzare un SSD per il sistema operativo e uno per i dati o i giochi, per il backup entriamo in un contesto più soggettivo che non può essere quantificabile in termini di capacità e budget a disposizione. Quando scegliamo un SSD per il sistema operativo consigliamo ormai di non scendere sotto quota 1 TB, 500/512 GB se inizialmente siete stretti con i costi, mentre con le unità entry-level da 256 GB o ancora peggio da 128 GB rischiate di saturare subito e facilmente il drive con conseguente impatto anche a livello prestazionale (nel senso più ampio del termine).
Controller
Il controller di un SSD è un’altra componente decisiva in quanto è il “cervello” che gestisce tutte le funzionalità del disco, facendo sostanzialmente da tramite tra il sistema, le memorie NAND e le altre componenti dell’unità (vedi cache integrata ad esempio). Oltre a occuparsi delle operazioni di lettura e scrittura, il controller gestisce anche altre funzionalità come il controllo degli errori, crittografia, garbage-collection e wear-leveling. In modo molto semplice, si tratta di un piccolo microprocessore, solitamente con architettura ARM, equipaggiato con più core che a loro volta integrano uno o più canali per gestire direttamente le memorie NAND flash.
Inutile dire che la velocità di trasferimento di questi canali, insieme a quella delle NAND, influirà direttamente sulle prestazioni, motivo per cui gli SSD più veloci e costosi solitamente utilizzano controller di fascia alta (magari a 8 canali), mentre nel segmento di fascia media spesso possiamo incorrere in alcuni modelli che montano memorie NAND sovradimensionate rispetto al controller, con conseguente collo di bottiglia. Ovviamente queste caratteristiche non vengono pubblicizzate dai produttori, quindi se vogliamo scegliere il migliore SSD possibile dobbiamo anche guarda alla tipologia di controller e alle memorie NAND che monta.
Memoria NAND Flash
Sulla memoria NAND Flash si potrebbero scrivere pagine, tuttavia cerchiamo anche in questo caso di ridurci all’essenziale che può interessare l’utente finale, più o meno esperto. Come forse saprete, la memoria NAND flash è un tipo di memoria non volatile, l’opposto per intenderci di una RAM. I primi SSD a essere commercializzati utilizzavano memorie NAND di tipo SLC (Single Level Cell), capaci memorizzare un bit per cella; successivamente furono introdotte le NAND MLC (Multi Level Cell) che potevano immagazzinare due bit per cella, divenendo le migliori opzioni per quanto concerne le prestazioni e l’affidabilità.
Queste tipologie di NAND però sono costose e non permettono di scalare molto in fatto di capacità, per questo sono arrivate successivamente le NAND TLC (Triple Level Cell), attualmente le più diffuse, insieme alle più recenti QLC (Quadruple Level Cell), decisamente più economiche e dense (anche a più strati) ma con prestazioni e un affidabilità nel tempo decisamente inferiore al passato (vedi SLC ed MLC).
Cache DRAM
A bordo di un SSD possiamo trovare anche una cache DRAM che, solitamente è presente nei modelli più prestanti, ma con il calo dei prezzi ultimamente ritroviamo anche su prodotti non particolarmente costosi. La maggior parte degli SSD economici non integra una cache DRAM (che costa), mentre una soluzione adottata dalla maggior parte dei produttori nella fascia più economica del mercato è il caching SLC dinamico che, pur restituendo prestazioni inferiori rispetto a un approccio con DRAM, permette comunque di migliorare il comportamento del drive rispetto a un SSD entry-level che non prevede alcuna funzionalità di caching.
L’integrazione della cache DRAM su un SSD non migliora solo le prestazioni, ma permette al contempo di allungare la vita utile dell’SSD, evitando, o meglio diminuendo, il cosiddetto WAF (Write Amplification Factor).
Prestazioni – Trasferimento dati sequenziale e casuale
Quando esaminiamo la scheda tecnica di un SSD, uno dei primi dati che guardiamo è sicuramente quello relativo alla velocità di trasferimento dati sequenziale in lettura e scrittura. Solitamente viene espresso in MB/s o GB/s, nel caso dei più recenti modelli PCI-E 5.0 si opta per la seconda visto che ormai abbiamo toccato picchi anche di 14 GB/s, o se preferite 14.000 MB/s. C’è da dire che la prestazione sequenziale è importante, ma non è la più decisiva; un altro parametro da valutare infatti sono le prestazioni in lettura/scrittura casuali espressi in IOPS (Input/Output Operations Per Second), determinanti in quanto ci dicono quante operazioni vengono o possono essere effettuate dal drive nell’intervallo di tempo di un secondo.
Gli SSD di ultima generazione (anche PCI-E Gen 4.0) possono superare abbondantemente il milione di IOPS, mentre per fare un paragone, pensate che il miglior hard disk in questo ambito con interfaccia SAS e regime rotativo dei piatti a 15.000 RPM riesce a superare di poco i 200 IOPS.
Resistenza e affidabilità
La resistenza alla scrittura di un SSD è importantissima in quanto ci offre un’indicazione su quella che potrebbe essere la vita utile dell’unità che acquistiamo. Non è un dato da prendere come assoluto, o meglio, è l’indicazione che ci suggerisce il produttore ma può variare per diversi motivi; in sostanza ci dice quante volte le memorie NAND del nostro disco potranno essere scritte/cancellate prima di assistere a un degrado con possibile impatto su prestazioni e affidabilità.
Le prime generazioni di SSD soffrivano molto di questo problema, legato soprattutto a firmware e chip NAND poco ottimizzati che, di conseguenza, portavano a un degrado veloce delle prestazioni (anche settimane/giorni) oltre che a una “morte” prematura dei drive (chi non l’ha provato non capirà). Come anticipato sopra, le memorie NAND più affidabili da questo punto di vista sono le SLC e MLC, senza dimenticare che in linea di massima un SSD più capiente ha una durata superiore rispetto ai modelli di piccolo taglio in quanto avremo a disposizione più celle da scrivere/cancellare. Il dato da prendere in esame in questo caso è quello espresso in TBW, o Terabyte Written, più è alto più l’SSD potrà essere longevo, ovviamente al netto di altre problematiche.
Come scegliere un SSD: quale comprare e cosa offre il mercato
A oggi l’offerta in materia di SSD è a dir poco vasta, basti pensare che la maggioranza delle aziende specializzate in hardware e/o PC (di qualsiasi rango) vanta a listino almeno un SSD marchiato, ricordando però che i produttori in fatto di controller e memorie NAND sono sempre gli stessi (vedi Samsung, Micron, SK Hinyx, Silicon Motion, Phison ecc).
Al pari di altre componenti, l’acquisto di un nuovo Solid State Disk è legato senza dubbio al budget, ma bisogna porre attenzione perché soprattutto in fascia bassa è semplice cadere in errori di valutazione, lasciandosi catturare solo dal prezzo e dalla capacità. Partiamo dicendo che, se venite da un hard disk e state aggiornando una vecchia macchina con qualche anno sulle spalle, l’opzione SSD SATA è sicuramente la più sensata, se non altro perché le schede madri di qualche anno fa non sono dotate di connettori M.2, tantomeno di supporto per i più recenti standard NVMe e PCI-E.
In questo caso, anche se non avrete l’SSD più performante e aggiornato sul mercato, noterete una vera e propria “resurrezione” del vostro PC, sia per quanto concerne le prestazioni sequenziali e casuali, sia per il tempo di accesso (senza dimenticare che un SSD non emette alcun rumore).
Come deve essere l’SSD per il sistema operativo e per lo storage?
Quando pensiamo a un SSD per il sistema operativo, cerchiamo sicuramente un SSD con un buon transfer-rate, ma stiamo attenti anche agli IOPS e alla presenza della cache DRAM, indispensabile a nostro avviso se volete utilizzare il drive come disco primario. Con l’avanzamento tecnologico e la concorrenza tra i big di settore, i prezzi, o meglio, il costo per gigabyte per gli SSD PCI-E ad alte prestazioni è sceso in modo drastico, permettendo anche agli utenti di fascia media di mettere le mani su unità disco valide senza spendere troppo.
In linea di massima consigliamo almeno un’unità da 1 TB se non avete particolari pretese o ambiti di utilizzo impegnativi, diversamente se potete optate almeno per un SSD PCI-E da 2 TB. Riguardo invece lo storage, dei vostri dati e contenuti personali, ma anche della vostra libreria di giochi, dipende sempre dalle esigenze del momento e dalla quantità di dati o giochi che vi trovate a gestire. Per questo motivo, visto soprattutto i costi dei modelli di SSD da oltre 2 TB, l’opzione più battuta in questo caso rimangono gli SSD SATA (che sia di qualità però) o, in molti casi, i vecchi hard disk (che creano comunque un collo di bottiglia).
Qual è il migliore SSD per il gaming?
Un’altra piccola parentesi la vogliamo aprire sul gaming, soprattutto perché il marketing in questo caso concorre a creare una certa confusione tra gli utenti, in particolare in quelli meno esperti. Sicuramente un SSD veloce e prestante, magari con una buona dotazione di cache, è da preferire, tuttavia diversi test sul campo (anche nostri) dimostrano per esempio che all’atto pratico (in fase di gioco) c’è pochissima differenza tra un SSD PCI-E 3.0 e i più veloci PCI-E Gen 4.0/5.0, ragion per cui se avete un budget risicato non fatevi problemi ad acquistare un buon drive PCI-E 3.0.
L’opzione SSD SATA sicuramente è meno consigliata, ma alla fine dei conti se dovete risparmiare è un compromesso da dover accettare, rimanendo comunque piuttosto valido e nettamente superiore a un hard disk meccanico di qualsiasi tipo. Giusto per essere chiari, non esiste un “SSD da gaming” ma SSD ad alte o basse prestazioni.
SSD esterni: quale scegliere in base all’ambito di utilizzo e al budget
Chiudiamo con gli SSD esterni, un altro filone di prodotti che ormai vanta un’offerta incredibile per tutte le tasche e gli ambiti di utilizzo. Tornando un attimo al gaming, in molti optano per un SSD esterno come disco per memorizzare tutti i giochi, ma anche qui tenete d’occhio la qualità e le prestazioni, o meglio l’interfaccia utilizzata dal drive. Come detto sopra abbiamo l’imbarazzo della scelta, in commercio troviamo più che altro drive con interfaccia USB, dai modelli più economici che possono sfruttare lo standard USB 2.0/3.0 (massimo a 5 Gbps), arrivando ai più veloci con USB 3.2 Gen 2×2 a 20 Gbps, o ancora ai più recenti USB4 e Thunderbolt 4 a 40 Gbps.
Se vi serve un SSD esterno veloce, o più in generale un’unità disco ad alte prestazioni per muovere file di dimensioni importanti, consigliamo di puntare su un modello USB 3.2 Gen 2×2 a 20 Gbps, se non altro perché all’interno di queste unità troviamo quasi sempre SSD PCI-E che, anche se raramente, possono essere limitati ad esempio dall’adozione di un bus USB 3.0 per contenere i costi di produzione legati a eventuali controller o componentistica aggiuntiva (ma non solo).
Qualora il vostro SSD esterno abbia invece il ruolo di unità di storage o backup, magari per tenere a portata di mano file personali, come documenti, foto o filmati, un SSD esterno USB/SATA con una buona capacità ci permette di risparmiare sensibilmente senza andare a inficiare la nostra esperienza utente.
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