L’evoluzione della crisi ucraina sembra destinata a provocare ricadute a getto anche sui social media, ormai da anni terreno di combattimento propagandistico. In particolare, al momento, sembra Facebook il teatro di guerra più delicato, come dimostra la decisione presa dal governo russo nei suoi confronti.

Il social media di Mark Zuckerberg, infatti, si è visto limitare l’accesso all’interno del gigante eurasiatico. Una forma di ritorsione per il provvedimento preso da Meta nei confronti di ben quattro media russi: il canale televisivo Zvezda, l’agenzia di stampa RIA Novostie i siti Internet Lenta.ru e Gazeta.ru.

La crisi nei rapporti tra Russia e Facebook era del resto già in atto prima della decisione di Putin di attaccare l’Ucraina. Già dall’ottobre del 2020 Mosca aveva chiesto spiegazioni sulla censura nei confronti di 23 media russi, senza peraltro ottenere spiegazioni. Resta ora da capire cosa potrà accadere nell’immediato futuro, soprattutto in considerazione del fatto che il panorama dei social network russi è in effetti molto effervescente.

I perché della ritorsione di Mosca

La ritorsione del governo russo nei confronti di Facebook è stata spiegata con la legge federale n.272-FZ, che regola vari aspetti legati alle risorse Internet e ai media russi. Un provvedimento spiegato con la necessità di rispondere ad atti ostili, come del resto accaduto nei confronti del governo di Kiev.

La rappresaglia in atto è stata dispiegata dalla Procura Generale, d’intesa con il Ministero degli Esteri, sotto forma di misure tese a limitare parzialmente l’accesso agli utenti. In pratica per ora si tratta di un provvedimento soft, ovvero un rallentamento del traffico, anche se, al momento, non è chiaro quanto sia stato duro e, soprattutto, quali effetti abbia avuto da un punto vista concreto.

Quello che è chiaro, però, è che anche i social sono ormai considerati un fronte propagandistico molto importante. Tanto da spingere le entità governative a cercare di assumerne il controllo, per quanto possibile.

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I social media entrano nel conflitto

Basta in effetti dare uno sguardo a Facebook per capire cosa stia accadendo. La stragrande maggioranza delle discussioni riguardano proprio la crisi ucraina. E non sono pochi gli scivoloni propagandistici, dall’una e dall’altra parte.

Anche in Italia, del resto, si sono avute le prime avvisaglie in tal senso, nel corso degli ultimi anni. In cui i partiti politici hanno dispiegato campagne in cui la prima vittima è risultata proprio la verità. Un attivismo che ha premiato largamente alcuni partiti, in particolare chi ha optato per una copertura a tempo pieno dei social.

Con il trascorrere del tempo, però, quello che doveva essere uno spazio di libertà e democrazia si è trasformato in un nuovo campo di battaglia. In cui non è detto che ciò che si vede corrisponda a verità. Il dato che ne esce fuori, però, è la pratica impossibilità di riuscire a controllare l’informazione, come accadeva ad esempio nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando bastava la pratica militarizzazione dei giornali cartacei e dei mezzi radiofonici per riuscirci.

La copertura della guerra in Russia

Non solo Facebook, però, è entrato nella black list governativa, in Russia. Roskomnadzor, l’autorità preposta alla regolamentazione delle comunicazioni, nelle stesse ore ha intimato ai media operanti all’interno del Paese di rimuovere i rapporti in cui l’operazione bellica decisa da Putin viene etichettata alla stregua di un “assalto, invasione o dichiarazione di guerra”. Quelli che non lo faranno potrebbero essere sanzionati con multe, sino al corrispettivo di 60mila dollari statunitensi, o chiusure.

Tra i destinatari delle lettere di avvertimento ci sono al momento  la stazione radionica Echo Moskvy, e Novaya Gazeta, il principale quotidiano indipendente del Paese. Il secondo, in particolare, vanta nella sua redazione Dmitry Muratov, premiato con il premio Nobel per la pace lo scorso anno.

Paradossalmente, proprio alla luce della stretta in atto a livello di informazione tradizionale, potrebbe essere a questo punto molto più facile per gli oppositori di Putin operare sui social media o sul web. Con esiti al momento imprevedibili, però, considerato come anche la controparte sembri intenzionata a farsi sentire su questo particolare fronte.

I social network russi, un fattore da tenere in considerazione

Se Facebook, Twitter, Instagram e YouTube monopolizzano la scena social media nella maggior parte dei paesi, in Russia e in aree circostanti come Kazakistan e Ucraina, la situazione è molto diversa. In questi Paesi, infatti, gli utenti sono soliti rivolgersi a piattaforme regionali, dando vita ad una situazione molto particolare.

Nel Paese eurasiatico a dominare la scena è in questo momento è Vk (precedentemente noto come VKontakte). Si tratta di una creazione di Pavel Durov, lo stesso di Telegram. Già nel corso del 2020, secondo Brand Analytics, vantava 97 milioni di utenti al mese, di cui oltre 28 milioni impegnati nella veste di creatori di contenuti.

Sarebbe quindi interessante capire cosa stia succedendo in questa e altre piattaforme che stanno in pratica confinando Facebook e gli altri social occidentali ad un ruolo estremamente trascurabile. Proprio il loro controllo potrebbe rivelarsi fondamentale per vincere la guerra propagandistica sul fronte interno, per Vladimir Putin.

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