Le criptovalute potrebbero rivelarsi un notevole sostegno per l’Ucraina, nel conflitto in corso con la Russia. Come rivelato da alcuni rapporti pubblicati in queste ore, il governo di Kiev sta raccogliendo donazioni per svariati milioni di dollari. Risorse preziose considerato come il Paese fosse già in gravissime difficoltà economiche prima dell’aggressione russa.
Un sostegno che certifica ancora una volta come il denaro virtuale, grazie alla decentralizzazione che lo caratterizza, può rappresentare uno strumento estremamente multiforme. Tanto da spingere a chiedersi se noti detrattori delle criptovalute, ad esempio Brad Sherman, avranno modificato il loro giudizio nel corso delle ultime ore.
Indice:
Quasi 10 milioni di dollari donati
Secondo la società di ricerche Elliptic, già ammonterebbero a 9,9 i milioni di dollari affluiti nelle casse di Kiev sotto forma di donazioni crittografiche. Denaro virtuale che sarebbe stato inviato da vere e proprie organizzazioni autonome decentralizzate (DAO) formatesi con il preciso intento di sostenere gli ucraini.
Le donazioni sarebbero conseguenti alla vendita di NFT e rappresenterebbero una prima risposta all’appello dell’account Twitter ufficiale ucraino, che ha affermato l’intenzione di accettare Bitcoin, Ether e Tether per il sostegno alla propria resistenza armata.
Quanto sta accadendo è peraltro il risultato della presenza di una effervescente comunità dedita all’innovazione tecnologica e finanziaria. In Ucraina, infatti, sarebbero circa 200mila gli addetti al settore, con un volume di affari pari a circa 6,8 miliardi di dollari, nel corso del 2021.
La scena crypto-ucraina
Nell’ultimo Global Crypto Adoption Index, di Chainalysis, l’Ucraina si è classificata al quarto posto, alle spalle di Vietnam, India e Pakistan. Nel corso di un’intervista rilasciata al New York Times lo scorso anno, il viceministro per la trasformazione digitale di Kiev, Alexander Bornyakov, ha affermato risolutamente l’intenzione di fare del Paese un vero e proprio hub di criptovalute.
Non si tratta, però, di un semplice proponimento. Secondo Illia Polosukhin, cofondatore ucraino di NEAR Protocol, un progetto che si propone sulla falsariga di Ethereum, il denaro virtuale circola in gran quantità nel Paese, agevolato da due fattori: la mancanza di fiducia nel sistema bancario tradizionale e nella valuta fiat locale.
In particolare il secondo aspetto è già stato alla base dell’adozione di Bitcoin e altre valute digitali in Paesi come il Venezuela, l’Argentina o la Colombia. Ovvero quelli in cui i livelli di inflazione sono talmente alti da rendere meno rischioso convertire il denaro reale in criptovalute, nonostante l’ormai proverbiale instabilità delle stesse.
La guerra e le criptovalute
A sostegno dell’Ucraina si è formato un vasto fronte, nel quale va rimarcata la presenza di Vitalik Buterin. Il co-fondatore di Ethereum, canadese di origini russe, ha infatti espresso su Twitter il proprio appoggio a Kiev, pubblicizzando il varo di Unchain.fund, una iniziativa rivolta agli aiuti umanitari.
Mentre le Pussy Riot, un collettivo femminista punk rock hanno dal canto loro dato vita a UkraineDAO, teso all’utilizzazione della tecnologia per la raccolta di fondi. Ad essi si aggiunge anche un coacervo di artisti NFT, RELI3F, attivi nel reperimento di fondi per il sostegno all’Ucraina.
Le criptovalute, però, non saranno certo monopolio di Kiev, in questo conflitto. Anche la Russia sembra intenzionata ad utilizzarle per aggirare le sanzioni di UE e Stati Uniti. Tanto da spingere il governo ucraino ad appellarsi agli exchange per chiedere loro di bloccare gli account degli utenti russi.
Ad avanzare l’ipotesi è stato Mikhailo Fedorov, vice primo ministro ucraino e ministro della trasformazione digitale. Una mossa la quale, però, è sembrata abnorme al management di Binance, che si è limitato a bloccare quelli riconducibili alle persone sanzionate.
Il comunicato di Binance
Proprio da Binance è del resto arrivato un comunicato, pubblicato anche su Twitter, in cui si afferma di non avere alcuna intenzione di procedere al congelamento unilaterale dei conti di milioni di persone che non c’entrano nulla con quanto sta accadendo.
Il comunicato va visto non solo nell’ottica dell’ormai consueto (e cinico) “business as usual”, ma anche in un altro senso, che forse è sfuggito al governo ucraino nel suo appello. Se gli exchange dessero luogo al blocco richiesto, verrebbe meno il principio di decentralizzazione che è alla base del White Paper di Bitcoin.
Peraltro, lo stesso Binance è logicamente poco propenso a giocarsi un mercato come quello russo, ove ha espresso l’intenzione di entrare nell’immediato futuro, insieme ai territori confinanti, ad esempio la Bielorussia. In attesa di farlo, già dal 2019 permette depositi e prelievi all’interno del paese fin dal 2019, utilizzando all’uopo il partner Advcash, con sede nel Belize.
Lo stesso atteggiamento è stato poi ribadito da Jesse Powell, CEO di Kraken. Secondo il quale la piattaforma di scambio non può congelare i conti dei clienti russi senza un requisito legale per farlo. Allo stesso tempo Powell ha affermato che proprio questo potrebbe accadere.
Il problema è che a questo punto, però, verrebbe a cadere un presupposto base, quello della fiducia. In tanti potrebbero chiedersi a questo punto se valga la pena utilizzare exchange che non sono in grado di tenere al sicuro i propri soldi. Un rischio che molti non si sentono di correre.
Ancora Powell ha poi concluso con una stilettata di non poco conto, ricordando che se Kraken dovesse procedere al congelamento di tutti i conti dei residenti di Paesi impegnati in conflitti militari ingiusti, anche agli utenti statunitensi sarebbe preclusa l’utilizzazione dei suoi servizi.
L’enormità della richiesta ucraina
Le posizioni di Powell sono in effetti molto interessanti. Andando in particolare a sollevare una serie di questioni che vanno, se possibile, oltre la guerra in atto tra Russia e Ucraina.
La richiesta del vice primo ministro di Kiev, peraltro, è stata oggetto di forti critiche da parte di alcune note personalità non solo del settore. A partire da Alex Gladstein, rappresentante dell’organizzazione non governativa (ONG) Human Rights Foundation, secondo il quale la dichiarazione di Fedorov è “bizzarra e crudele”. A motivare il duro giudizio è il fatto che i russi sotto il tallone di Putin a quel punto non avrebbero altra scelta che rivolgersi a Bitcoin e a Tether.
Un giudizio che, del resto, sembra confermato da un dato rilanciato oggi dai dati di Google Trends, i quali mostrano come sia le ricerche su Tether (USDT) che quelle relative a Bitcoin (BTC) sono in forte aumento all’interno della Russia.
Da registrare anche il giudizio di un altro utente di Twitter, @GaetanDella, secondo il quale “congelare non solo i wallet dei politici ma anche dei civili potrebbe essere davvero dannoso per il futuro della tecnologia crypto”. Ove ciò accadesse, anche la tanto decantata decentralizzazione delle criptovalute potrebbe diventare una vittima di guerra.
Leggi anche: La Russia userà le criptovalute per aggirare le sanzioni occidentali?
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