La questione relativa al Bitcoin sta assumendo una grande importanza all’interno dei regolamenti dell’Unione Europea. Nella discussione relativa alla nuova normativa Markets in Crypto Assets (MiCA), in particolare, era stato inizialmente previsto un bando nei confronti dell’algoritmo di consenso Proof-of-Work (PoW), ovvero il meccanismo alla base delle operazioni relative a BTC e altre criptovalute.

Stando alle ultime dichiarazioni di Stefan Berger, il parlamentare che si sta occupando maggiormente della questione, la parte in questione sarebbe però stata stralciata. Alla base della decisione c’è il fatto che per il modo in cui è stata formulata potrebbe prestarsi a errate interpretazioni.

Si tratta di una buona notizia per i servizi crittografici che operano scambiando Bitcoin e altri asset virtuali basati su PoW. Per cercare di mettere una toppa alla situazione venutasi a creare, la votazione sul disegno di legge Markets in Crypto Assets è stata spostata di una settimana, rispetto al 28 febbraio previsto inizialmente. Nella votazione finale non sarà comunque giudicato il paragrafo 61 (9c), che è stato completamente rimosso.

Cos’è il Markets in Crypto Assets?

Al nuovo regolamento MiCA è in pratica affidato il compito di andare a rimodellare i mercati di criptovaluta in Europa. La nuova normativa ha iniziato a muovere i suoi passi nel settembre del 2020, e richiederebbe alla Banca centrale europea (BCE) di indicare un quadro di regole uniformi per i fornitori di servizi di criptovalute e gli emittenti a livello dell’UE.

In altre parole, andrebbe a fungere da quadro normativo per le criptovalute in tutta l’Unione Europea. Un quadro normativo che, ad esempio, manca ancora negli Stati Uniti, dando modo alla Securities and Exchange Commission (SEC) di intervenire a gamba tesa sulle aziende, come avvenuto con Ripple.

I nuovi quadri normativi sono peraltro richiesti anche dalle frange più responsabili della scena crypto. Anche perché servirebbero ad esse per espellere dal mercato gli operatori che sono sono in odore di vera e propria truffa a danno degli utenti meno consapevoli. Basta in effetti dare una rapida occhiata alle cronache degli ultimi anni per notare come la trasparenza non sia il forte di alcune aziende.

Il bando al Proof-of-Work

Quando è iniziata a circolare la bozza del nuovo regolamento europeo, a molti operatori del mercato crittografico saranno letteralmente drizzati i peli. Al suo interno, infatti, veniva prospettato il divieto di vendere o scambiare all’interno dell’UE tutti gli asset virtuali che utilizzano meccanismi di consenso non sostenibili dal punto di vista ambientale. Per riuscire ad evitare un divieto, le risorse crittografiche dovrebbero soddisfare standard minimi di sostenibilità ambientale.

Come è ormai noto, il bersaglio degli strali da parte degli ambientalisti è il Bitcoin. L’icona attribuita a Satoshi Nakamoto, infatti, è basata proprio sull’algoritmo di consenso Proof-of-Work. Ovvero lo stesso additato per un consumo energetico abnorme. Basta in effetti leggere i report dell’osservatorio dell’Università di Cambridge per capire meglio la questione.

Naturalmente non soltanto BTC utilizza questo metodo di mining. Anche Ethereum lo fa, ma in questo caso è già stata iniziata la procedura per introdurre l’algoritmo Proof-of-Stake, molto più sostenibile da un punto di vista ambientale. La sua adozione è infatti prevista per la fine dell’anno in corso.

Proprio per impedire problemi di questo genere, o perlomeno al fine di attenuarli, gli stessi operatori del settore hanno iniziato a considerare la questione relativa al mining di Bitcoin. Tra coloro che stanno dando un impulso in tal senso c’è anche Elon Musk, il fondatore di Tesla.

L’uomo più ricco del mondo, dopo aver acquistato con la sua azienda un gran quantitativo di token e aver affermato l’intenzione di accettarli in pagamento per i modelli della casa di auto elettriche, ha fatto parzialmente marcia indietro. Facendo anche da balia alla nascita del Bitcoin Mining Council. Ovvero al pensatoio che riunisce molte personalità di spicco al fine di trovare le soluzioni per impedire al mining di BTC di danneggiare l’ambiente. Tra le proposte emerse in questo ambito c’è ad esempio quella relativa all’utilizzazione di energia prodotta con fonti rinnovabili. Per avere apprezzabili risultati da questo punto di vista servirebbero però anni che forse non sono disponibili.

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Perché la marcia indietro?

A spiegare la marcia indietro sul Proof-of-Work è stato lo stesso Stefan Berger. Il quale ha ammesso che l’attuale formulazione del passaggio incriminato potrebbe essere interpretata male. Una precisazione doverosa, alla luce delle grandi polemiche in atto sulle criptovalute.

Resta però il problema rappresentato da asset virtuali che, al momento, rappresentano una minaccia non da poco dal punto di vista ambientale per un pianeta già stressato. Tanto da aver spinto la Cina a bandire le mining farm dal proprio territorio. Un provvedimento giustificato dal fatto che la loro attività metterebbe a repentaglio gli obiettivi di risanamento estremamente ambiziosi del gigante orientale.

Una preoccupazione del resto condivisa a livello europeo. Ove, ad esempio, l’Islanda ha già provveduto a tagliare le forniture per le aziende di mining, preferendo riservarle ad altro genere di attività, meno energivora.

Ancora più duro l’atteggiamento della Svezia, ove l’autorità finanziaria svedese Finanspektionen ha raccomandato il divieto di minare Bitcoin e altre monete proof-of-work. Un atteggiamento che si è spinto alla richiesta di messa al bando del mining a livello continentale.

La guerra ucraina e le criptovalute

Nella discussione si è peraltro andata ad inserire nel corso delle ultime ore il conflitto in Ucraina. Com’è noto, infatti, il governo di Kiev sta sollecitando donazioni in criptovalute, mentre quello russo sembra intenzionato a sua volta a sfruttare la decentralizzazione di BTC e Altcoin per sfuggire alle sanzioni.

Ciò vuol dire che ben presto i consumi collegati agli asset virtuali potrebbero lievitare ulteriormente. Il tutto in un momento in cui all’interno dell’UE si pensa di sostituire alle forniture di gas russo, praticamente interrotte, l’energia prodotta con il carbone.

In una situazione di questo genere, peraltro, ancora non si sono elevati le voci del movimento Friday’s for Future. Ovvero i ragazzi che hanno fatte proprie le richieste della giovane ambientalista svedese Greta Thunberg. I quali, di fronte al proposito di utilizzare le fonti fossili, potrebbero nuovamente far sentire la loro voce.

La questione del denaro digitale, insomma, sembra destinata a farsi sentire con una forza sempre maggiore, in una situazione globale sempre più confusa, costringendo l’opinione pubblica mondiale a interessarsi della questione. Visti gli aspetti in ballo, la discussione si preannuncia estremamente interessante.

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