Mentre il mining di Bitcoin portato avanti con l’utilizzo dell’algoritmo di consenso Proof-of-Work è ormai sotto assedio, in particolare in ambito europeo, alcuni settori legati all’icona crypto cercano di smontare le tesi sull’eccessivo consumo energetico di questo tipo di processi.

In particolare, a opporsi alla tesi di una vera e propria incompatibilità tra criptovalute fondate sul PoW e ambiente è ora il Bitcoin Mining Council, organizzazione varata nel corso del 2021 su impulso tra gli altri di Elon Musk, proprio nell’intento di avviare il mining verso strade in grado di arrecare il minor danno possibile al secondo.

L’ente globale che riunisce le principali realtà operanti nel settore ha infatti pubblicato uno studio dal quale emergono alcune indicazioni in controtendenza rispetto alla narrazione ormai imperante che vorrebbe inchiodare il Bitcoin al ruolo di pericolo ambientale. Andiamo quindi a vedere cosa è emerso dai dati raccolti, per cercare di capire meglio la questione.

Lo studio del Bitcoin Mining Council

Il report del Bitcoin Mining Council ha raccolto i dati forniti da circa la metà delle società che fanno parte della rete Bitcoin, per un equivalente di 100,9 exahash, andando a focalizzarsi su tre parametri ben precisi: consumo di elettricità, efficienza tecnologica e mix energetico sostenibile.

Il primo risultato che emerge analizzando i dati in questione è quello relativo all’utilizzazione da parte dei membri del BMC di elettricità caratterizzata da un mix energetico sostenibile pari al 64,6%. Partendo da questo dato deriva una crescita del mix energetico del 59% a livello globale rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Si attesta leggermente al di sotto l’efficienza tecnologica della rete globale Bitcoin, riuscendo comunque a conseguire un notevole 63%. Un dato il quale è la risultante del passaggio dai 12,6 exahash per gigawatt (EH/GW) del primo trimestre 2021 ai 20,5 EH/GW dello stesso periodo dell’anno in corso.

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Cosa dicono i dati attuali

Andando a riepilogare lo studio del Bitcoin Mining Council, emergono inoltre i seguenti dati riferiti al primo trimestre del 2022:

  • l’aumento del 23% dell’hashrate di BTC su base annua;
  • la concomitante diminuzione del 25% in termini di consumi energetici;
  • il consumo energetico necessario per il mining di Bitcoin rappresenta lo 0,16% dell’energia prodotta complessivamente sul pianeta;
  • la CO2 generata dal mining di Bitcoin rappresenta lo 0,085% di quella  prodotta a livello globale.

In pratica, i risultati dello studio andrebbero a smontare una serie di tesi che alla luce dei dati si trasformerebbero in vere e proprie leggende metropolitane. Quanto affermato dal report del BMC, quindi, andrebbe a confermare alcuni studi del recente passato, a partire da quello pubblicato da ARK Investment Management.

Lo studio di ARK Investment Management

Lo studio in questione risale al marzo del 2021 e afferma che i dati presi a sostegno della tesi che vorrebbe un Bitcoin sin troppo energivoro non dimostrano assolutamente nulla, in quanto sono estrapolati dal contesto e isolati con il preciso intento di dimostrare una tesi precostituita.

Per arrivare a questa affermazione, abbastanza pesante, gli analisti di ARK Investment Management hanno provveduto a confrontare l’attuale consumo energetico del mining di BTC con quello collegato al processo di estrazione dell’oro, oppure al funzionamento del sistema bancario tradizionale.

Da questo confronto esce fuori un risultato ben preciso: il consumo di energia necessario per estrarre i blocchi di Bitcoin è in pratica pari alla metà del primo e ad un decimo di quello che serve per il secondo. Ne consegue che chi chiede il bando del Bitcoin dovrebbe essere coerente e formulare la stessa richiesta nei confronti di attività le quali, come dimostrato dai dati, sono molto più energivore.

Naturalmente i detrattori di BTC potrebbero obiettare che estrarre oro da lavorare e far funzionare il sistema bancario rappresenti qualcosa di molto più utile alla vita di tutti i giorni rispetto all’attività di calcolo tesa a far funzionare la blockchain di una moneta virtuale. I dati, però, parafrasando Lenin, hanno la testa dura e su questo contano i sostenitori del Bitcoin per smontare le tesi dei suoi detrattori.

I dati sono realmente attendibili?

A margine della discussione tra sostenitori e detrattori della creazione di Satoshi Nakamoto, occorre però sottolineare come gli stessi dati spesso non siano concordi. I punti di riferimento più attendibili in tal senso sono considerati il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (CBECI) e l’indice di consumo energetico di BTC formulato da digiconomist.net, molto citato da analisti e giornalisti.

Tra il consumo annuo indicato da CBECI e quello di digiconomist.net ci sono però differenze estremamente significative. Secondo il primo il consumo annuo della rete Bitcoin si attesterebbe a quota 111,08 TWh, contro i 77,78 del secondo. In pratica una differenza del 44%, tale da spingere molti a porsi domande sull’effettiva attendibilità dei dati in questione.

Sembra insomma che la discussione sul reale impatto ambientale delle criptovalute, e di Bitcoin in particolare, sia basata su dati i quali dovrebbero essere verificati e, soprattutto non analizzati prescindendo dal contesto, come afferma appunto lo studio di ARK Investment Management.

Un ulteriore spunto di riflessione

A rendere ancora più complessa la situazione, contribuiscono poi altri dati ovvero quelli forniti da Deutsche Bank Research, da Morgan Stanley, dall’Agenzia nazionale cinese per l’energia e da Coinshares, secondo i quali il 78% dell’energia elettricità utilizzata per la gestione della rete Bitcoin sarebbe derivante da fonti rinnovabili. Un dato soltanto leggermente superiore al 76% indicato a sua volta dal terzo Global Cryptoasset Benchmarking Study dell’Università di Cambidge, pubblicato nel corso del 2020.

Dai tanti dati che abbiamo sin qui ricordato, sembra emergere una situazione molto più complessa e fluida di quanto risulti dalle notizie provenienti in particolare dall’Unione Europea, ove la Svezia non nasconde il suo intento di arrivare a bloccare del tutto il mining fondato sul Proof-of-Work ritenendolo un vero e proprio attentato nei confronti dell’ambiente.

Una tesi la quale sembra riecheggiare la tesi espressa dall’ingegnere informatico Stephen Diehl, secondo il quale BTC rappresenterebbe una vera Chernobyl fumante. Un giudizio sin troppo drastico, tanto da apparire alla stregua di una semplice boutade.

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