La vicenda relativa alla posizione dominante di Apple nel mercato dei portafogli mobili su dispositivi iOS, sulla quale l’Antitrust dell’Unione Europea ha dato comunicazione all’azienda di Cupertino nelle passate ore, sembra destinata ad arricchirsi di nuovi capitoli, proprio per la rilevanza della questione.

Secondo Bloomberg, infatti, dietro la decisione presa dall’Unione Europea ci sarebbe soprattutto PayPal, una delle società le quali hanno deciso di presentare una serie di reclami informali sulla condotta di Apple. In particolare, secondo le rimostranze della concorrenza, l’impresa californiana avrebbe impedito in ogni modo l’accesso alle app di terze parti alle funzionalità NFC (Near Field Communication, ovvero quella che viene esercitata con il semplice tocco) dell’iPhone.

La vicenda in questione ha avuto peraltro un’anteprima nel 2017, quando le banche australiane cercarono di avere un accesso diretto all’NFC, grazie al quale avrebbero potuto lanciare una soluzione in grado di concorrere con Apple Pay. In quella occasione la vicenda terminò con un nulla di fatto, ma in questo caso l’esito potrebbe rivelarsi molto meno propizio per l’azienda guidata da Tim Cook, soprattutto pensando agli attriti del recente passato con l’Unione Europea.

A cosa è dovuta la mossa di PayPal?

Perché PayPal ha deciso di muovere la sua offensiva contro Apple? Il motivo della risoluzione è da ricercare nel fatto che anche l’azienda di Palo Alto propone una soluzione analoga a NFC che vorrebbe proporre su iPhone. Per poterlo fare, però, dovrebbe utilizzare il chip NFC, senza averne la possibilità proprio a causa delle attuali restrizioni di Apple.

A sua volta, quest’ultima ha messo in cantiere il permesso ad app di terze parti di utilizzare il chip NFC per l’imminente funzione “Tap to Pay su ‌iPhone‌”, grazie alla quale gli iPhone compatibili potranno accettare pagamenti tramite ‌Apple Pay‌, carte di credito e di debito contactless e altri portafogli digitali senza hardware dedicato. Si tratta però di una cosa ben diversa dalla soluzione che PayPal cerca di promuovere.

Secondo Apple, PayPal e altre soluzioni analoghe sono comunque popolari su ‌iPhone‌ pur in assenza di un’opzione di pagamento diretto. Al tempo stesso, la società afferma la sua intenzione di continuare a collaborare con la Commissione Europea nel preciso intento di riuscire a garantire ai consumatori europei il pieno accesso all’opzione di pagamento che preferiscono “in modo e ambiente sicuro”. Resta da capire se le istituzioni continentali crederanno alle sue rassicurazioni o meno.

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La posizione dell’Unione Europea

Se Apple cerca di stemperare i toni, occorre comunque sottolineare come la posizione presa dalla Commissione Europea sia il risultato delle indagini già condotte sulla questione. In pratica, quanto appurato in via preliminare dimostrerebbe come i reclami di PayPal (di Venmo e altre aziende operanti nello stesso segmento di mercato) siano tutt’altro che infondati.

Ad affermarlo è stata Margrethe Vestager, la commissaria alla concorrenza, secondo la quale Apple avrebbe in tal modo impedito ai potenziali concorrenti l’opportunità di sviluppare sistemi di pagamento elettronico in grado di utilizzare i dispositivi della casa di Cupertino. Una condotta assolutamente illegale che, ove le accuse venissero confermate potrebbero avere conseguenze di larga portata, costringendo Apple a dover pagare una sanzione che può arrivare sino a un massimo di un decimo del proprio fatturato.

A motivare questa durezza sono proprio le parole della Vestager, secondo la quale il potenziale di innovazione in questo spazio è enorme, ma verrebbe ad essere impedito dalla politica di Apple. Una politica che, all’interno dell’Unione Europea, non è chiaramente gradita, si tratti delle Big Tech o di altri.

Si amplia il fronte di guerra tra UE e Apple

La nuova vertenza della Commissione Europea contro Apple va in pratica ad ampliare il fronte di una guerra già iniziata nel corso dell’anno passato. Nell’aprile del 2021, infatti, era stato Spotify a ricorrere in seno all’UE contro le pratiche commerciali dell’azienda nel settore dello streaming musicale, anche in quel caso tali da condurre infine ad un abuso della posizione dominante da essa detenuta.

All’epoca l’antitrust continentale aveva deciso di contestare l’uso obbligatorio del meccanismo di acquisto in-app di Apple che era stato imposto agli sviluppatori, mostrandosi preoccupata anche per quanto riguarda le restrizioni applicate agli stessi, tali da impedirgli di informare gli utenti di iPhone e iPad sulle possibilità alternative di acquisto.

In quel caso la valutazione preliminare aveva stabilito che Apple rappresenta un gatekeeper per gli utenti di iPhone e iPad tramite l’App Store, mentre con Apple Music compete anche con i fornitori di streaming musicale. L’impostazione di regole severe sull’App Store va quindi a svantaggiare i servizi di streaming musicale concorrenti privando al contempo gli utenti della possibilità di operare scelte più economiche.
Sotto la lente d’ingrandimento di Bruxelles era finita anche un’altra regola che Apple impone ai rivali, ovvero il caricamento sugli sviluppatori di una commissione del 30% su tutti gli abbonamenti acquistati mediante il suo sistema. Secondo la Commissione questi scaricano a loro volta sugli utenti i costi in questione, con conseguente aumento per i prezzi degli abbonamenti.
Apple aveva a sua volta risposto che in quel caso ad essere il dominus di settore era proprio Spotify e che, di conseguenza, le sue mosse andavano intese come un tentativo di aumentare la concorrenza con beneficio dei consumatori. Una posizione la quale, però, era stata indebolita in partenza proprio dall’evidente aggravio dei costi a carico degli stessi derivante dalla commissione del 30%.
All’atto pratico, quindi, non si tratta semplicemente di una questione di semplice concorrenza tra imprese che verrebbe ad essere drogata in partenza dalla posizione dominante di Apple, ma anche delle conseguenze in termini di costi a carico dei consumatori le quali conseguono dalle pratiche commerciali scorrette. Una serie di questioni estremamente scottanti, tali in ultima analisi da prefigurare un conflitto sempre più acceso tra le controparti, almeno in ambito UE.