Il tema del trattamento fiscale su Bitcoin e criptovalute in genere è ora all’esame del Parlamento italiano. La senatrice Elena Botto, transfuga del Movimento 5 Stelle passata da pochi mesi al Gruppo misto, ha infatti presentato un disegno di legge teso a riorganizzare la materia in maniera più organica, prendendo come base le tante enunciazioni dell’Agenzia delle Entrate.

Se negli altri Paesi si cerca di dare un quadro di riferimento legislativo al settore, come sta accadendo ad esempio in California, la politica italiana mostra ancora una volta i propri ritardi culturali, andando a focalizzarsi sulla tassazione da applicare ad un asset così particolare, senza però degnarsi di dare vita ad un sistema di regole in grado di garantire operatori del settore e cittadini che intendano investire in valuta digitale.

Andiamo comunque a vedere cosa prevede il disegno di legge che sta iniziando ora il suo percorso all’interno delle commissioni competenti, per cercare di capirne meglio la portata.

Il Ddl Botto: cosa è previsto al suo interno?

Come avevamo già sottolineato in un precedente articolo, il regime fiscale italiano in tema di criptovalute è tra i più rigidi a livello planetario. Lo aveva affermato in particolare un recente rapporto redatto da Sape Cons Ltd, studio legale il quale dedica gran parte del suo lavoro proprio alle tematiche fiscali collegate alle valute virtuali.

Come si legge all’interno dello studio, nel nostro Paese le plusvalenze vengono tassate separatamente e sono assoggettate all’Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). In particolare devono versare le tasse i ricavi realizzati sulla vendita di valuta estera “rivenienti da depositi e conti correnti a condizione che, nel periodo d’imposta in cui la vendita avviene, il saldo di tali conti ecceda di 51.645,69 Euro per sette giorni lavorativi consecutivi”.

A pronunciarsi in tal modo è stata l’Agenzia delle Entrate, le cui risposte sono però prive di organicità. A cercare di dargliela è ora il disegno di legge presentato dalla senatrice Elena Botto, la quale si propone l’intento di precisare la strada all’interno della quale devono muoversi tutti coloro che sono intenzionati ad investire in criptovalute.

Il suo Ddl pone come base proprio il pronunciamento che abbiamo ricordato, affermando che ai Bitcoin e alle altre monete virtuali debba essere applicato lo stesso regime fiscale in vigore per le valute estere. In particolare lo saranno le valute digitali le quali abbiano dato luogo ad un controvalore di almeno 51.645,69 euro, per non meno sette giorni lavorativi di seguito. Nel caso in cui esse riescano a varcare il traguardo, l’aliquota fiat da versare sarà pari al 26% del totale movimentato.

Quando scatta l’aliquota? In effetti occorre precisare che a far scattare l’aliquota del 26% non è il semplice possesso di criptovaluta. Il provvedimento presentato in Senato, anzi, indica due casi ben precisi in cui scatta l’obbligo di versamento:

  1. nell’eventualità che utilizzando criptovaluta il suo possessore acquisti dei beni;
  2. in quella che vede la valuta virtuale convertita in denaro reale, anche sotto forma di valute fiat di Paesi esteri.

Al contrario, lo scambio di una criptovaluta in un’altra è sottratto dal raggio d’azione del fisco italiano. Una precisazione di non poco conto, del resto fondata sul buon senso.

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Non manca la classica sanatoria

Dato che l’Italia è ormai a tutti gli effetti una Repubblica basata sulle sanatorie, non poteva mancarne una anche in questa occasione. La sua introduzione è resa necessaria dalla constatazione che nel corso degli anni passati la stessa Agenzia delle Entrate aveva indicato come obbligatoria la dichiarazione delle criptovalute possedute. Il disegno di legge in questione afferma, al contrario, che non sussiste ove il valore massimo complessivo raggiunto dalle valute virtuali possedute dal contribuente nel periodo d’imposta non vada ad oltrepassare i 15mila euro.

Tutti coloro i quali non hanno provveduto a ottemperare l’obbligo indicato negli anni passati, possono regolarizzare ora la propria posizione. Per impedire che vengano elevate sanzioni, potranno usufruire di una sanatori versando tra l’8 e il 10% del controvalore posseduto. Per fissare l’importo da versare al fine di sottrarsi ad eventuali provvedimenti delle autorità fiscali, occorrerà fare riferimento alla quotazione che i propri token avevano il primo giorno di gennaio dell’anno in corso.

A quando un quadro di regole organiche per le criptovalute?

Se per un regime fiscale organico sembra ormai scoccata l’ora, per quanto riguarda invece la fissazione di un quadro di norme in grado di dare certezze agli operatori del settore e tutele agli investitori sembra ancora tutto in alto mare.

Mentre il Parlamento Europeo sta discutendo del Markets in Crypto Assets (MiCA), i politici italiani si muovono ancora una volta con colpevole ritardo. Se è vero che di recente è stato formato un intergruppo parlamentare denominato “Criptovalute e Blockchain”, cui una trentina di senatori e onorevoli di tutti gli schieramenti hanno aderito, ad oggi si è provveduto solo a indicare gli obblighi a carico degli operatori e intermediari in cripto-valute nel registro dell’Organismo degli agenti e mediatori (OAM).

Non molto se si considera l’attenzione che Paesi come gli Stati Uniti (ordine esecutivo di Joe Biden), El Salvador (Bitcoin Law) e Venezuela (introduzione del Petro), hanno riservato al tema. Senza contare quella Cina che si appresta ormai al lancio in grande stile del suo yuan digitale, la CBDC (Central Bank Digital Currency) che, a detta degli analisti di ogni parte del globo potrebbe mutare sensibilmente la situazione geopolitica planetaria.

La speranza è naturalmente che ai decreti e ai disegni di legge che abbiamo ricordato faccia seguito il varo di un quadro legislativo in cui la scena crypto italiana, la quale inizia a dare notevoli segnali di vita, possa svilupparsi al meglio, dando così il suo contributo alla creazione di un indotto anche in termini di posti di lavoro. Una necessità la quale ha già spinto alcune di queste imprese a guardare all’estero, ad esempio a Malta, che sta provando ormai da tempo a proporsi come hub di settore nel Mediterraneo.

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