Come dovrebbe essere ormai noto, la sicurezza è un aspetto fondamentale nella scelta di una piattaforma con la quale operare investimenti di carattere finanziario. Il motivo è da ricercare nel gran numero di truffe perpetrate a danno di aspiranti trader nel corso degli ultimi anni. Non a caso gli operatori del settore pubblicizzano con orgoglio il possesso di una regolare licenza rilasciata dagli enti di sorveglianza dei mercati, in ogni parte del globo.
Proprio per questo motivo sta destando grande sconcerto la vicenda relativa a Coinbase, uno dei più famosi cambi di criptovalute, che ha dato vita ad una lunga serie di polemiche e provocato un vero e proprio slittamento del suo titolo in Borsa. Andiamo quindi a vedere cosa sta accadendo e le implicazioni di una vicenda che sembra finalmente scoprire molti altarini, sinora tenuti celati.
Coinbase: cosa sta accadendo?
La vicenda è iniziata quando l’exchange statunitense, il più grande del Paese, ha pubblicato il suo rapporto 10-Q, ovvero la relazione trimestrale pretesa dalla Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti, che deve essere presentato da tutte le società quotate sui mercati azionari.
All’interno di questo rapporto, infatti, si può leggere il seguente passo: “In caso di fallimento, le criptovalute che deteniamo in custodia per conto dei nostri clienti potrebbero essere soggette a procedure fallimentari e tali clienti potrebbero essere trattati come i nostri creditori chirografari generali”.
Se in un primo momento in molti, almeno tra coloro che stavano esaminando la relazione, si sono chiesti cosa significasse questa affermazione, a sgombrare ben presto il campo da ogni possibile equivoco, con la suo apprezzabile ruvidezza, è stato CryptoWhale, noto critico di settore molto seguito su Twitter. In un suo messaggio ha infatti chiarito in tal modo: “In altre parole, quando alla fine falliranno, useranno la TUA criptovaluta per salvarsi“.
Le due affermazioni non sono rimaste naturalmente senza reazioni. Anche Coinbase si è infatti affrettato a cercare di correre ai ripari, per bocca di Brian Armstrong, il suo amministratore delegato. Con esiti, a dire il vero, non proprio brillanti.
La toppa è peggiore del buco
Una volta vista la malparata, il CEO dello scambio di criptovalute ha pensato bene di dover intervenire per cercare di salvare la situazione. Ha infatti rilasciato la seguente dichiarazione: “Non corriamo alcun rischio di fallimento, tuttavia abbiamo incluso un nuovo fattore di rischio basato su un requisito SEC chiamato SAB 121, che è una nuova informativa richiesta per le società pubbliche che detengono asset crittografici per conto terzi”.
Inoltre ha rilanciato, affermando che i fondi sono al sicuro sulla piattaforma, soprattutto in considerazione del fatto che un fallimento di Coinbase rappresenterebbe il classico cigno nero sul mercato, ovvero un evento più unico che raro. Sin qui nulla di straordinario, sarebbe stato anzi assurdo il riconoscimento di un potenziale rischio di default della piattaforma.
Le successive aggiunte, però, si sono dimostrate l’ancora più classica toppa peggiore del buco. Armstrong, infatti, ha affermato che i clienti di Coinbase Prime e Custody sono garantiti da forti tutele legali nei loro termini di servizio in grado di proteggere al meglio i loro beni. Inoltre ha aggiunto che l’azienda sta lavorando per aggiungere le stesse protezioni per i clienti al dettaglio e si è scusato per non averle implementate prima.
Per molti è stato facile trarre le dovute implicazioni di queste improvvide dichiarazioni. In pratica, attualmente non esiste alcun genere di protezione legale per i commercianti al dettaglio, ovvero il 24% dell’attuale utenza di Coinbase in termine di volume di scambi, come si può desumere analizzando il rapporto sugli utili collezionati nel corso del primo trimestre dall’azienda.
Lo stesso CEO non ha poi mancato di rivoltare il coltello nella piaga, in un vero e proprio attacco di autolesionismo, aggiungendo: “È possibile, per quanto improbabile, che un tribunale decida di considerare i beni dei clienti come parte della società in una procedura fallimentare”. A questo punto la frittata era ormai fatta e a poco sono valsi i suggerimenti dello stesso Armstrong di ricorrere a Coinbase Wallet, la soluzione custodial proposta a coloro che preferiscono archiviare i propri token, la quale potrebbe essere in qualche modo centralizzata e, di conseguenza, impossibilitata a mettere al sicuro da eventuali sequestri giudiziari i beni virtuali degli utenti.
Il crollo di Coinbase in Borsa
Naturalmente, dopo una simile Caporetto mediatica, sono arrivate le ricadute in termini di quotazione. Coinbase ha infatti iniziato a cedere terreno, trovandosi ben presto al minimo storico, anche sull’onda di un rapporto sugli utili che è stato inferiore alle aspettative degli analisti, presentando perdite nette di 430 milioni di dollari per il primo trimestre.
Le perdite delle ultime ore vanno peraltro a sommarsi a quelle che sono ormai abitudine dopo i fasti della quotazione, ma potrebbero presto rivelarsi l’ultima preoccupazione per Armstrong. Il danno in termini di immagine è infatti difficilmente quantificabile, in quanto sembra fatto apposta per spingere chi intende fare trading di criptovalute verso la concorrenza. Come fidarsi di chi non offre un riparo ai soldi depositati dalla clientela?
Anche per l’intero settore crypto, però, i danni potrebbero rivelarsi di non poco conto. Resta infatti da capire se anche per gli altri scambi valga lo stesso discorso sulla mancanza di copertura per i beni degli utenti da eventuali sequestri giudiziari. La questione della sicurezza dei consumatori e degli investitori è presa molto seriamente dalla politica a stelle e strisce, come si può facilmente desumere dalla lunga serie di attacchi mossi da esponenti democratici e repubblicani nel corso degli ultimi anni. La vicenda che sta investendo Coinbase in queste ore potrebbe quindi assumere contorni sempre più larghi e dagli esiti imprevedibili.
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