È arrivato il momento di resistere alle criptovalute, o meglio guardare ad esse con il minimo di senso critico venuto meno negli ultimi tempi: questo è il messaggio inviato da 26 esperti informatici al Congresso degli Stati Uniti, sotto forma di una lettera in cui si esortano i rappresentanti del popolo a non accettare la narrativa predominante spacciata da gruppi i quali hanno un preciso interesse finanziario.

La narrazione sotto accusa è quella che tende a presentare gli asset virtuali alla stregua di un’innovazione finanziaria positiva e adatta a dare un risoluzione ai problemi finanziari che le persone comuni sono costrette ad affrontare ogni giorno sul suolo nazionale. Un artificio retorico ideato nel preciso intento di preparare un terreno favorevole il quale, però, non corrisponde ai reali intenti dei promotori.

Un punto di vista alternativo il quale sembra destinato a rilanciare la discussione in atto sulle criptovalute negli Stati Uniti, a poche settimane dall’ordine esecutivo con cui Joe Biden ha conferito alle stesse una rilevanza strategica fondamentale per il Paese. Andiamo quindi a visionare più attentamente la lettera in questione, alla luce della rilevanza che essa potrebbe assumere già nel corso dei prossimi giorni.

La lettera dei 26: cosa sostiene

Dopo essersi presentati con le credenziali guadagnate in decenni di attività in campi come la tecnologia dei database, del software open source, della crittografia e delle applicazioni di fintech, i firmatari dell’appello al Congresso non esitano a entrare a piedi uniti nella discussione in atto, affermando:

“Today, we write to you urging you to take a critical, skeptical approach toward industry claims that crypto-assets (sometimes called cryptocurrencies, crypto tokens, or web3) are an innovative technology that is unreservedly good. We urge you to resist pressure from digital asset industry financiers, lobbyists, and boosters to create a regulatory safe haven for these risky, flawed, and unproven digital financial instruments and to instead take an approach that protects the public interest and ensures technology is deployed in genuine service to the needs of ordinary citizens.”

La sostanza sembra quindi farsi immediatamente chiara: l’attacco non è alla blockchain e alle valute virtuali, bensì ai finanziatori, ai lobbisti e ai sostenitori del settore i quali chiedono la creazione di un vero e proprio rifugio normativo sicuro per strumenti finanziari digitali che sono rischiosi, imperfetti e non sufficientemente rodati. Di fronte a queste pressioni i 26 chiedono invece di adottare un approccio tale da fare da scudo all’interesse pubblico e garantire l’implementazione della tecnologia in modo da renderla un vero servizio per i bisogni dei cittadini comuni.

Non meno duro è poi il seguito, ad esempio ove si sostiene che concetti come l’inclusione finanziaria e la trasparenza dei dati rappresentano una semplice foglia di fico tesa a coprire semplici interessi privati. Senza contare che tredici anni di sviluppo, non sono bastati per eliminare gravi limiti e difetti di progettazione, tali da rappresentare un pericolo di cui nessuno sembra tenere conto.

Le criptovalute sono servite in particolare per veicolare schemi di investimento speculativi poco solidi e altamente volatili in direzione di investitori al dettaglio non in grado, spesso, di comprenderne la natura e il rischio. Senza contare le minacce alla sicurezza nazionale sotto forma di riciclaggio di denaro e attacchi ransomware, rischi per la stabilità finanziaria collegati all’elevata volatilità dei prezzi, e una questione ambientale sempre più evidente, derivante dalle massicce emissioni climatiche collegate alla tecnologia proof-of-work utilizzata da Bitcoin e un rilevante numero di Altcoin.

Di fronte a tante criticità, troppo spesso sottovalutate, i firmatari della lettera concludono esortando i destinatari ad un approccio critico e responsabile, in grado di proteggere i consumatori e gli investitori dalle possibili truffe e il sistema finanziario in genere dai pericoli collegati ad un uso errato della blockchain.

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Un sasso nello stagno

La lettera dei 26 promette di riaprire una discussione sugli asset digitali che pure sembrava ormai incanalata verso una supina accettazione degli stessi da parte delle istituzioni, politiche e finanziarie. L’ordine esecutivo con cui Biden ha spalancato le porte alle criptovalute e al dollaro digitale sembra in effetti aver posto la parola fine ad una battaglia in atto da anni.

Basta però dare uno sguardo ad alcuni dei destinatari della missiva per capire come non si tratti di un semplice atto formale, ma di un documento in grado di riaprire le ostilità, soprattutto alla luce della vicenda del crollo di Terra (LUNA). Tra di essi figurano in particolare due personalità che anche nel recente passato non hanno avuto peli sulla lingua in tema di asset virtuali:

  • Sherrod Brown, Presidente della Commissione del Senato per le banche, l’edilizia abitativa e gli affari urbani, noto per aver più volte messo in dubbio l’utilità delle criptovalute e per aver denunciato i rischi collegati alle stablecoin. In particolare lo ha fatto nel dicembre dell’anno passato nel corso di una conferenza stampa congiunta con Elizabeth Warren, nel corso della quale ha affermato che per chi investe i propri soldi in questo genere di token non esiste alcuna garanzia di riaverli indietro. Senza contare le parole di fuoco riservate agli asset virtuali qualche mese prima, quando non aveva esitato ad affermare che le criptovalute non solo non sono vero denaro, ma mettono anche a rischio i sudati risparmi dei cittadini statunitensi. Ha poi rincarato la dose dichiarando che la finanza decentralizzata non sarebbe altro che una rete losca, una sorta di bisca online;
  • Maxine Waters, Presidente del Comitato per i servizi finanziari della Camera dei rappresentanti, a sua volta distintasi nell’ambito della lunga vicenda alla crypto di Facebook (Libra, poi Diem), nel corso della quale aveva mantenuto un atteggiamento nettamente contrario al progetto ponendosi di traverso sin dal suo esordio. Anche all’interno del partito democratico si è sempre distinta per l’atteggiamento fortemente critico nei confronti degli asset virtuali, tanto da chiedere a Biden il ritiro di tutte le linee guida relative alla criptovaluta emesse dall’Office of the Comptroller of the Currency (OCC).

Cosa potrebbe accadere ora?

Naturalmente la lettera inviata al Congresso va presa per quello che è realmente, ovvero una sorta di appello a procedere coi piedi di piombo di fronte ad una materia della quale si parla sempre di più, ma spesso a sproposito, senza avere ben chiare le implicazioni che un’adozione sempre più larga delle criptovalute potrebbe comportare.

Proprio quanto sta accadendo intorno a Terra potrebbe rappresentare da un lato un campanello d’allarme, ma dall’altro una notevole occasione per iniziare a discutere di asset virtuali liberi dalla vera e propria sbronza propagandistica che si impadronita di buona parte dell’opinione pubblica nel corso degli ultimi anni.

Non a caso la critica mossa nella lettera è verso quei gruppi di pressione mossi non certo da nobili intenti come l’inclusione finanziaria o la democratizzazione della finanza, bensì dalla voglia di partecipare a quella che in alcuni momenti si è prospettata come una grandiosa festa. Le feste, però, non sono mai a costo zero e qualcuno alla fine ne deve pagare il conto. Il pericolo è che a farlo siano come al solito i più facilmente impressionabili e manovrabili.

Per impedire che ciò accada, occorre quindi mettere in campo un sistema in grado di non frenare l’innovazione, ma anche di farla procedere all’interno di un sistema normativo ben definito, in cui siano chiare le implicazioni anche penali per chi pensa di poter dettare le regole alla politica e alla società, in genere. Ora la palla passa nuovamente al Congresso.

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