Il tema ambientale continua ad essere al centro della discussione, soprattutto in un momento in cui le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina stanno spingendo i Paesi dell’Unione Europea a tornare indietro sulle decisioni prese per fronteggiare il taglio delle forniture di gas proveniente da Mosca.
Per non restare con il cerino acceso in mano e permettere al proprio imponente apparato industriale di continuare a funzionare, molti Paesi, a partire da Germania, Francia e Italia stanno infatti pensando di tornare a quelle fonti di energia fossili le quali dovevano essere eliminate nel corso dei prossimi anni. Una decisione dovuta all’irrompere sulla scena del movimento Fridays for Future, ispirato alle idee della giovane ambientalista svedese Greta Thunberg che, però, torna ad essere messa in discussione proprio dagli eventi bellici.
Una buona notizia in tal senso arriva ora dal settore delle criptovalute. Il lancio di Fight the CO2 (FCO) potrebbe infatti rivoluzionare il settore dei carbon credits. Andiamo quindi a conoscere più da vicino sia l’uno che gli altri, per capire le potenzialità di questo nuovo progetto il quale riesce a mixare ambientalismo e tecnologie di ultima generazione.
Indice:
Cosa sono i carbon credits
Per capire al meglio FCO occorre partire da una spiegazione, quella relativa ai carbon credits. In pratica i crediti di carbonio, questa la traduzione in italiano, rappresentano una strategia sostenibile orientata alla promozione di progetti nazionali e internazionali tesi ad una maggior tutela ambientale e climatica, con l’obiettivo di ridurre o assorbire i gas serra che sono considerati i maggiori responsabili del riscaldamento globale.
Nella situazione climatica del Pianeta, che si presenta estremamente complessa, la sfida per le aziende è rappresentata dal riuscire ad adattare il proprio modello di business alle nuove esigenze legate al riscaldamento climatico. In particolare, devono riuscire ad allinearlo con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) presenti all’interno di Agenda 2030, il documento delle Nazioni Unite che indica la necessità di conseguire la decarbonizzazione di prodotti, servizi ed attività.
Per carbon credit si intende in particolare un certificato negoziabile equivalente ad una tonnellata di CO2 che non viene emessa o assorbita grazie ad un progetto di tutela ambientale realizzato nell’intento di contenere o riassorbire le emissioni globali di anidride carbonica e altri gas serra. Il titolo in questione è oggetto di scambio teso a compensare l’emissione di una tonnellata di anidride carbonica equivalente, dando luogo alla realizzazione di un progetto di sviluppo in collaborazione con un terzo ente.
L’acquisto di crediti di carbonio consente in particolare alle aziende che emettono gas serra, di contribuire economicamente alla realizzazione e allo sviluppo di progetti di tutela ambientale che solitamente vengono realizzati nei Paesi in via di sviluppo, connotati quindi da intenti di promozione sociale e autosufficienza economica per le popolazioni del posto. Le aziende che lo fanno, si ritagliano la possibilità di rendicontare lo scambio di crediti di carbonio e utilizzare un’etichetta sui propri prodotti e servizi, tale da trasformarsi in un vero e proprio biglietto da visita in termini di compatibilità ambientale.
Fight the CO2 (FCO): di cosa si tratta
Capito il funzionamento dei carbon credits è arrivato il momento di spiegare cosa sia invece Fight the CO2, il token che si propone di fornire un impulso al sistema che, al momento, è riservato ai grandi gruppi. Grazie a FCO anche le piccole e medie potranno farlo, seguendo questo processo passo dopo passo:
- l’azienda interessata si incarica di generare crediti verdi e per aderire al progetto FtheCo2 formalizza la partnership, dichiarando la percentuale di crediti che sarà assegnata al progetto FCO e le condizioni economiche della partnership;
- il partner acquista sul mercato la quantità di token FCO che è stata concordata tra le parti per poi provvedere al suo trasferimento, su cui è stato espresso il precedente accordo sotto forma di carbon credits a FtheCo2;
- FtheCO2 va a sua volta a monetizzare i crediti ricevuti versando il 55% dell’importo proveniente dalla vendita direttamente nel Pool FCO, in modo da aumentarne la liquidità e da generare un evidente impatto positivo sul valore del token;
- ancora FtheCo2 utilizza il restante 45% al fine di andare a coprire i costi del progetto avviato.
Il vantaggio per l’azienda che avrà partecipato al processo appena descritto sarà quello di un aumento del proprio budget corrispondente all’aumento della quotazione del token, oltre che in termini di reputazione, derivante quest’ultimo dall’aver partecipato ad un progetto assolutamente sostenibile in termini ambientali.
Il lancio ufficiale del progetto è avvenuto il passato 9 giugno, sulla rete di Pancake Swap (CAKE), con il prezzo di 0,27 dollari per token. Gli esemplari virtuali che costituiscono l’offerta complessiva ammontano a un miliardo, da vendere entro il 9 giugno del 2023, come deciso all’interno dello smart contract che è stato implementato al fine di mantenere stabile il prezzo sino all’esaurimento delle scorte. Se ci saranno dei gettoni invenduti, saranno “bruciati”, mentre per quanto concerne il prezzo di vendita non ammonterà più a 0,27 dollari, ma dipenderà dalla libera contrattazione.
Anche il settore crypto in aiuto all’ambiente
Il lancio di FCO sembra una diretta risposta alle accuse elevate da più parti nei confronti dell’innovazione monetaria. Ormai da mesi, infatti, Bitcoin è sotto attacco da parte di chi ne teme gli effetti devastanti del mining. In particolare, sotto accusa è l’attività di conio portata avanti con l’algoritmo di consenso Proof-of-Work (PoW), ritenuta incompatibile con un momento storico in cui occorre cercare di abbattere le emissioni nocive.
Nel caso di Bitcoin l’altissimo consumo in termini energetici, pari a livello annuale a quello di un Paese come la Svizzera, si mixa all’utilizzo di un quantitativo ancora troppo elevato di energia proveniente da fonti fossili. Un trend sul quale deve cercare di dare risposte il Bitcoin Mining Concil, ente formato su impulso di Elon Musk il quale, però, sembra attardarsi nella presentazione di una realtà abbellita, definita come non preoccupante.
Un’impostazione destinata a scontrarsi con i furori ecologisti del blocco nordico europeo capeggiato dalla Svezia, il quale propone il bando definitivo sul suolo europeo al mining fondato su Proof-of-Work. L’idea è stata anche presentata durante la discussione sul nuovo regolamento Markets in Crypto Assets (MiCA) presso il Parlamento europeo, che lo ha però rigettato.
In una situazione di questo genere, il lancio di Fight The CO2 potrebbe intercettare un diffuso sentimento ambientalista e permettere anche alle imprese più piccole di fornire il loro contributo ad un modello produttivo più rispettoso dell’ambiente. Non resta quindi che seguire l’evoluzione del progetto, sperando che possa avere successo anche in un momento così particolare per il settore delle criptovalute.
Leggi anche: Mining di criptovalute e ambiente: l’UE verso il divieto del Proof-of-Work
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