Dopo mesi di discussioni estenuanti, nel corso delle quali si sono formati due schieramenti contrapposti, è stato Vladimir Putin a decidere di porre fine al dibattito sulle criptovalute. Il presidente russo ha infatti firmato la legge che vieta l’utilizzo del denaro virtuale all’interno del territorio nazionale.
Una mossa abbastanza sorprendente, alla luce del fatto che dopo lo scoppio della guerra con l’Ucraina il governo di Mosca aveva più volte lasciato intendere l’intenzione di utilizzare Bitcoin e altri token nel preciso intento di aggirare le sanzioni emesse da Stati Uniti e alleati nel tentativo di rendere complicata la vita al gigante eurasiatico. Un intento il quale, almeno al momento, sembra miseramente naufragato, riversando pesanti effetti sull’economia dell’eurozona, privata delle fonti energetiche russe.
Una sorpresa resa tale anche dalle dichiarazioni rilasciate all’inizio dell’anno dal Presidente, il quale aveva riconosciuto l’effettiva utilità della tecnologia blockchain e le potenzialità collegate agli asset virtuali. In particolare, nel mese di gennaio aveva espresso il suo favore nei confronti del Bitcoin, derivante dalla constatazione del fatto che la Russia poteva godere di alcuni vantaggi competitivi per il mining, a partire da un surplus di elettricità e dalla presenza di personale ben addestrato. Riconoscimenti spazzati via dal bando firmato da poche ore.
Indice:
Cosa afferma la legge sulle criptovalute firmata da Putin
Il testo è stato pubblicato sul sito della Duma, il Parlamento della Russia, troncando di netto la discussione che si era scatenata nel corso delle settimane precedenti. Una discussione in cui si erano delineate due fazioni ben distinte:
- la banca centrale, guidata da Elivira Nabiullina, decisamente contraria all’introduzione degli asset digitali all’interno del sistema monetario del Paese;
- il ministero delle finanze, a sua volta sceso in forze a sostegno di Bitcoin e Altcoin, ravvisando negli stessi notevoli opportunità per facilitare i tentativi di rendere inefficace l’embargo cui è sottoposta la Russia ormai da tempo.
A prevalere è quindi stata la fazione avversa all’innovazione finanziaria, un risultato sorprendente che però lascia il campo a non pochi dubbi. L’utilizzo di criptovaluta, in effetti, sembrava un’arma notevole nelle mani di Putin per cercare di smontare l’offensiva economica di Stati Uniti e alleati. Una possibile spiegazione di quanto sta accadendo potrebbe però essere ravvisata nel fatto che lo stesso meccanismo sanzionatorio messo in atto nei confronti della Russia sta mostrando non poche crepe.
Basti pensare, ad esempio, al fatto che gli stessi Stati Uniti hanno dato luogo ad una serie di eccezioni sui prodotti i quali non possono essere esportati a Mosca e dintorni, a partire da software, hardware e tecnologie IT per le comunicazioni su Internet, oltre ai servizi di web hosting e registrazione dei nomi di dominio. In questi casi c’è soltanto il divieto di sottoscrivere accordi commerciali con istituzioni come la banca centrale e il ministero delle finanze.
No alle criptovalute, ma non alla blockchain
- permetterà a Mosca il pagamento delle sue importazioni con il rublo, in questo momento in grande spolvero sui mercati globali, senza dover ricorrere al dollaro;
- consentirà ai partner esteri di pagare le importazioni dalla Russia anche nelle loro valute nazionali.
Il meccanismo predisposto permetterà in pratica al governo di Mosca di sferrare un nuovo attacco al potere imperiale del dollaro, in un momento in cui sta per fare il proprio debutto sui mercati globali l’attesissimo yuan digitale. Ennesima conferma di una strategia, da parte di Stati Uniti e alleati, al minimo viziata da una sottovalutazione della Russia e della sua capacità di resistere alle avversità provata già in più occasioni.
Leggi anche: La guerra informatica tra Russia e Ucraina spiegata da Microsoft
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