Se qualcuno pensava ad una distensione dell’atmosfera nel settore delle criptovalute, sembra proprio che la tranquillità sia un approdo ancora lontano per le aziende che vi operano. Anzi, il crypto winter sembra destinato ad irrigidirsi ulteriormente, nei prossimi giorni. Soprattutto se fossero confermate le indiscrezioni relative a Coinbase che stanno circolando con sempre maggiore insistenza. L’exchange diretto da Brian Armstrong, infatti, dopo la sospensione del suo programma di affiliazione è indicato come la prossima grande azienda del settore in odore di default.

Secondo molti osservatori proprio la decisione di sospendere il programma sarebbe una evidente spia delle difficoltà finanziarie di Coinbase. Ad appoggiare questa tesi è in queste ore soprattutto, ma non solo, Kurt Wucker Jr., noto nell’ambiente per la collaborazione con CoinGeek. Ancora più drastica è l’opinione espressa da BitBoy, secondo il quale il crac di Coinbase è destinato ad avere ripercussioni molto più ampie di quelle originate dai recenti fallimenti di Terra (LUNA), Celsius e Three Arrows Capital.

Pareri i quali sono però contrastati da altri esponenti di primo piano del settore crypto, a partire da Dan Held, Head of Growth di Kraken, secondo il quale la chiusura di un programma di affiliazione non può essere interpretato come l’anticamera di un fallimento. Tesi cui si accodano altri opinionisti, secondo i quali anche le recenti decisioni relative al taglio del personale non possono essere considerati un segnale di difficoltà, bensì una strategia tesa a ridurre i rischi per la piattaforma di scambio.

Coinbase: too big to fail?

L’opinione più interessante in assoluto, però, può essere considerata al momento quella di John Deaton, noto nell’ambiente per aver assunto la difesa di Ripple nella causa intentata contro XRP dalla Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti.

Secondo l’avvocato, infatti, Coinbase è un’entità troppo grande per fallire. Se si dovessero affacciare nuvoloni all’orizzonte, altri grandi soggetti attualmente operanti nel settore si attiverebbero immediatamente per impedire estreme conseguenze e un contagio che risulterebbe letale per l’intero universo crypto.

In pratica si tratta di un adattamento all’innovazione finanziaria dell’ormai celebre detto “too big to fail”, traducibile in italiano come “troppo grande per fallire”. Si tratta del modo di dire diventato celebre nel 2008 quando l’Italia sembrò sul punto di crollare in conseguenza degli attacchi della finanza speculativa contro il nostro Paese, costringendo Mario Draghi ad affermare l’altrettanto famoso “Whatever it takes” (ad ogni costo, riferito alla difesa da parte della Banca Centrale Europea per impedire il default tricolore).

Perché l’opinione di Deaton sembra tutt’altro che campata per aria? Il motivo è da individuare nel fatto che il crac di un attore di primo piano come Coinbase, che vanta ben 89 milioni di iscritti, andrebbe a provocare un effetto domino al cui confronto quello innescato dal fallimento di Terra diventerebbe una passeggiata di salute. Ecco perché le altre aziende di primo piano sono pronte a muoversi a sostegno dell’azienda di Brian Armstrong, senza badare a spese.

Il CEO dell’exchange, a sua volta, è intervenuto per cercare di rassicurare i mercati, affermando che l’azienda dispone di capitali sufficienti per respingere momenti di difficoltà, a differenza di quanto accaduto nei casi che hanno funestato il settore di recente. Secondo le notizie disponibili, lo scambio dispone di liquidità pari a circa 6 miliardi di dollari, oltre a significative riserve in asset virtuali.

La speranza è naturalmente che non si tratti di semplici rassicurazioni di facciata, anche perché il crollo di un attore così importante potrebbe acuire anche le difficoltà della finanza tradizionale, in un momento in cui l’inflazione molto alta e le difficoltà di approvvigionamento dell’eurozona sembrano preparare la strada per un inverno complicato per tutti.

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Quali sono i motivi di tanta preoccupazione

Occorre peraltro sottolineare che di un eventuale fallimento di Coinbase si è iniziato a parlare da tempo. Una discussione resa ancora più preoccupante dalla pubblicazione da parte dell’azienda del suo rapporto 10-Q, la relazione trimestrale pretesa dalla Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti. Si tratta quindi di un documento obbligatorio per tutte le società quotate sui mercati azionari.

Proprio al suo interno era contenuto il seguente passo: “In caso di fallimento, le criptovalute che deteniamo in custodia per conto dei nostri clienti potrebbero essere soggette a procedure fallimentari e tali clienti potrebbero essere trattati come i nostri creditori chirografari generali”. La spiegazione di questo passaggio era stata fornita da CryptoWhale, in un messaggio su Twitter: “In altre parole, quando alla fine falliranno, useranno la TUA criptovaluta per salvarsi“.

La reazione di Brian Armstrong era stata al tempo maldestra, affermando che il fallimento di Coinbase rappresenterebbe il classico cigno nero (un evento più unico che raro), senza però dare rassicurazioni concrete sull’impossibilità che ciò possa avvenire. La polemica sorta all’epoca sarà probabilmente tornata ad aleggiare agli occhi degli utenti della piattaforma di scambio in queste ore, con l’intensificarsi delle indiscrezioni.

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