La messa al bando di Tornado Cash e la decisione dell’OFAC (Office of Foreign Assets Control) di includerlo nella sua Specially Designated National List, una classificazione solitamente riservata alle organizzazioni terroristiche e alle nazioni nemiche, ha destato enorme impressione negli Stati Uniti.
Per effetto di questo provvedimento, i cittadini statunitensi non possono utilizzare questo strumento per le loro transazioni in criptovalute, il quale risultava molto utile per poter garantire riservatezza alle operazioni. Una privacy la quale, con tutta evidenza è stata avvertita dalle istituzioni finanziarie alla stregua di un vero e proprio pericolo. Quando è filtrata la notizia che anche gli hacker lo utilizzavano per far perdere le proprie tracce dopo i loro raid, l’OFAC ha preso la palla al balzo per sanzionare Tornado Cash.
Una mossa la quale, però, è destinata a dare sostanza ad una impressione che stava montando nel corso delle ultime settimane, ovvero quella di una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del governo federale contro gli asset virtuali. Una dichiarazione che sarebbe paradossale, dopo l’ordine esecutivo con cui Joe Biden ha dichiarato criptovalute e dollaro digitale una priorità strategica per il Paese.
Andiamo quindi a cercare di capire se i timori che serpeggiano in queste ore nel mondo dell’innovazione finanziaria abbiano ragione di esistere o se, al contrario, si tratti di un semplice atto dovuto, slegato da una strategia vera e propria tesa a delegittimare gli asset virtuali e stemperarne l’afflato libertario che sin dall’inizio della loro avventura le ha caratterizzate.
Indice:
Il bando di Tornado Cash è una dichiarazione di guerra all’intero settore?
Le reazioni del settore crypto di fronte alla messa al bando di Tornado Cash sono state molto decise. La presa di posizione più dura in assoluto è stata quella di di Erik Vorhees, uno dei maggiori sostenitori di Bitcoin, il quale ha affermato che con quest’atto Washington si dimostra alla stregua di un vero e proprio tiranno. Mentre secondo altri il provvedimento andrebbe contro una sentenza del 1996, secondo la quale il codice sorgente deve essere considerato come una materia protetta dal Primo Emendamento.
Si tratta però di posizioni probabilmente inficiate da un eccesso di ideologia, a differenza di quanto affermato dal più importante sviluppatore di Ethereum, Preston Van Loon, secondo il quale il provvedimento dell’OFAC è abnorme in quanto Tornado Cash non sarebbe altro che uno strumento. Il suo ragionamento sembra abbastanza logico: anche la dinamite è uno strumento che se usato per attentati assume una valenza negativa, ma può essere usato al contrario per fini utili alla collettività.
In effetti, Tornado Cash è stato creato per fornire un servizio a chi pretende il massimo di riservatezza nelle transazioni che lo riguardano. A riciclare il denaro non è lo strumento, ma coloro che utilizzano per nascondere soldi provenienti da attività illecite. Ma questo ragionamento è accettabile? Secondo alcuni no.
Ad esempio non lo è secondo un professore di diritto dell’Università del Kentucky, Brian Fyre, il quale ha affermato al riguardo: “Se sembra un’azienda, cammina come un’azienda e parla come un’azienda, puoi regolarla come un’azienda. E non importa come lo chiami, o come la caratterizzi. Se Tornado Cash sta effettuando un servizio a pagamento, anche se non c’è nessuno a rispondere al telefono, è un affare, e non una materia protetta dal Primo Emendamento.” Il sottinteso è chiaro: se una cosa è illegale tale rimane, anche se si tratta di una creazione dell’intelletto.
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L’allarme nel settore delle criptovalute è molto elevato
Il discorso di Fyre, però, non sembra convincente per molti esponenti del mondo crypto. Tanto da spingere più di uno di essi a puntare su un tasto ben preciso, quello del totalitarismo. Lo ha fatto ad esempio Chris Blec, una figura di spicco all’interno di MakerDAO, secondo il quale il governo potrebbe affermare domani che il burro di arachidi è illegale e che chiunque lo compri, lo utilizzi o lo mangi, è passibile di una pena detentiva. Di conseguenza nessuno lo acquisterà più temendo di andare in galera.
Secondo lui, il governo degli Stati Uniti non si fermerà sino a quando i cittadini residenti all’interno del Paese avranno la possibilità di effettuare transazioni in denaro virtuale potendo conservare la propria privacy. Non esiste una criptovaluta che non possa essere utilizzata dai criminali, di conseguenza tutta la tecnologia blockchain può essere sottoposta allo stesso trattamento riservato a Tornado Cash.
Il suo ragionamento sembra avere un punto condivisibile e uno no. Il primo è rappresentato dal fatto che di fronte alle cosiddette Privacy Coin (Monero, Dash, Zcash e altre) le autorità preposte al contrasto alle attività di riciclaggio hanno reagito non mettendole al bando, ma cercando strumenti in grado di vanificarne il codice. Il punto di debolezza è da ravvisare nel fatto che in effetti anche i prodotti commerciali possono essere da un giorno all’altro banditi dal commercio. Come è accaduto al foie gras, messo fuori legge nello Stato di New York proprio a partire da quest’anno.
Il problema Ethereum
A rendere ancora più controverso il provvedimento emanato dall’OFAC è però il fatto che oltre a bandire Tornado Cash, il Dipartimento del Tesoro ha provveduto ad inserire nella lista nera una corposa lista di indirizzi Ethereum associati al servizio. In pratica, dare vita a transazioni con questi indirizzi rappresenta ora, agli occhi del governo federale, la stessa cosa che fare affari con una cellula terroristica.
C’è aria di battaglia campale
Le dichiarazioni di Zoltu, però, sembrano aver fatto rapidamente breccia tra i crypto-fans. Non sono stati pochi coloro che hanno affermato la necessità di prepararsi, da parte dell’industria legata all’innovazione finanziaria, ad una vera e propria battaglia con le autorità di regolamentazione statunitensi. Una battaglia nel corso della quale altri potrebbero prendere il posto di Tornado Cash promuovendo servizi tesi ad assicurare il massimo di privacy finanziaria agli utenti. Un’ipotesi la quale è stata avanzata in particolare da Matthew Green, della John Hopkins University.
Lo stesso Green, però, mette in guardia sulle possibili implicazioni nel caso di una evoluzione di questo genere. Nella guerra che potrebbe scaturirne, per il governo diventerebbe molto difficile utilizzare strumenti in grado di reprimere chirurgicamente il dissenso. In una situazione simile la guerra potrebbe avere un unico obiettivo, la resa incondizionata di una delle due parti. Ove ad uscire sconfitto fosse il settore crypto, la sua fine sarebbe inevitabile.
Leggi anche: Resistere alle criptovalute, la lettera di 26 esperti informatici al Congresso
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