Il prossimo anno si svolgeranno le elezioni presidenziali in Argentina, che si prospettano come un nuovo faccia tra Cristina Hernandez, esponente dell’ala sinistra peronista, e Mauricio Macrì, il rappresentante della destra fedele alle ricette del liberismo. Nell’eterno duello tra destra e sinistra si è però andato ad inserire un candidato il quale rischia di rappresentare un fattore di non poco disturbo, ovvero Javier Milei.

Si tratta di un economista molto discusso, fondatore del partito di estrema destra La Libertad Avanza già noto sin dagli anni ’90 per aver collaborato con Antonio Domingo Bussi, un militare distintosi per le atrocità degli anni ’70 poi espulso dal Parlamento dopo le accuse di crimini contro l’umanità elevate a suo carico.

Milei ha invece proseguito la sua carriera, trovando un posto da docente universitario e diventando protagonista di trasmissioni radiofoniche le quali gli hanno permesso di esplicitare il suo pensiero economico, che è in fondo molto semplice: ridurre la presenza dello Stato sino a occuparsi solo di amministrare la giustizia e la sicurezza. Idee che sembrano cozzare contro la realtà, da sempre, ma che in un Paese problematico come l’Argentina, di nuovo alle prese con il problema dell’inflazione e della crisi economica ad essa conseguente, sembrano fare proseliti.

Anche le criptovalute trovano un posto di rilievo nel suo pensiero. Non solo definisce la Banca Centrale una organizzazione criminale contro i poveri, ma vede nel Bitcoin la chiave di volta per un nuovo ordine finanziario in grado di realizzare una vera democrazia e condurre all’inclusione nel sistema di tutti coloro che al momento vengono respinti ai suoi margini.

Ora, però, sulla strada del candidato anarco-capitalista, come si definisce lui stesso, spunta una vicenda che rischia di azzopparne la candidatura. Un’accusa la quale sembra del resto figlia della sua stessa concezione politica e della sua passione per le criptovalute.

Le accuse contro Javier Milei e la vicenda di CoinX

Aver promosso uno schema Ponzi nel settore delle criptovalute: questa l’accusa elevata dalla magistratura argentina contro Javier Milei. Il candidato di estrema destra, infatti, non si è fatto eccessive difficoltà nel proclamare il suo favore nei confronti di CoinX, una piattaforma di investimento in criptovalute la quale prometteva enormi ritorni agli utenti.

Il classico specchietto per le allodole che, però, sembra destinato ad avere successo ad ogni latitudine, soprattutto nell’era in cui agli elevati tassi di inflazione fanno riscontro rendimenti irrisori, o quasi, dei conti correnti bancari. Anche nel caso di CoinX gli elevati rendimenti si sono dimostrati la chiave di volta del successo, inducendo un gran numero di persone ad affidare alla piattaforma i propri soldi.

Per loro fortuna, però, la magistratura e le forze dell’ordine di Buenos Aires hanno deciso di intervenire prima che la bolla scoppiasse, facendo leva su un dettaglio non proprio insignificante: CoinX, infatti, non era dotata di alcuna licenza, tanto da spingere l’ente regolatore dei mercati finanziari argentini (CNV) a decretarne la chiusura. I nodi, intanto erano venuti al pettine e i promessi rendimenti erano stati molto inferiori a quanto promesso.

Milei però, non si era accorto di nulla. Fedele al “Laissez Faire” che distingue il pensiero liberista, non aveva avuto nulla da ridire su quello che sin dall’inizio di presentava come una pura e semplice truffa. Sin qui, non ci sarebbe da eccepire sul piano giudiziario. Il problema, però, si è allargato assumendo dimensioni tali da prefigurare una vera e propria infrazione alle leggi vigenti nel Paese, in conseguenza del fatto che l’economista ha sponsorizzato con forza l’operazione.

Nel mese di dicembre del 2021, ovvero prima dei provvedimenti del CNV, il candidato presidente ha visitato gli uffici di Buenos Aires dell’azienda, esprimendo pareri entusiastici sul progetto. Sul suo profilo di Instagram ha infatti affermato: “Stanno rivoluzionando il modo di investire per aiutare gli argentini con l’inflazione. Ora puoi simulare il tuo investimento in pesos, dollari o criptovalute e guadagnare un profitto.”

Una mossa improvvida, la quale ha ora fornito lo spunto per un gruppo di investitori rimasti danneggiati per citarlo in giudizio. La notizia è comparsa sul quotidiano Clarín, il quale ha reso noto come le perdite accumulate da queste persone si attesterebbe tra i 300 e i 400mila dollari. Cifre che in un Paese come l’Argentina possono comportare lo scivolamento nella povertà per molti.

Milei ha assunto una linea di difesa molto discutibile: non voleva ingannare nessuno e non ha preso soldi per promuovere CoinX. Se la seconda circostanza venisse appurata, resterebbe però la gravità di quanto sostenuto: come fidarsi di un presidente che non riesce a distinguere una truffa sino a sponsorizzarla a danno dei suoi governati?

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Criptovalute, sempre più i politici che le sostengono

L’appoggio di Javier Milei agli asset virtuali non rappresenta più un’eccezione tra i politici di ogni parte del globo. Basti pensare in tal senso al sindaco di New York, Eric Leroy Adams, il quale proprio sull’intenzione di fare della Grande Mela un vero e proprio hub crypto ha impostato una parte della sua campagna elettorale. Un proposito del resto contrastato da un altro sindaco, quello di Miami, Francis Suarez, il quale ha dato luogo ad una lunga serie di provvedimenti tesi a rendere sempre più popolari Bitcoin e Altcoin tra i cittadini del maggiore centro urbano della Florida.

Ancora più importante per la promozione degli asset virtuali si stanno però rivelando alcuni capi di Stato di Centro e Sudamerica, a partire dal presidente salvadoregno Nayib Bukele, promotore di una controversa Bitcoin Law che ha fatto dell’icona inventata da Satoshi Nakamoto la moneta a corso legale all’interno del Paese, affiancandosi al dollaro statunitense. Le tante polemiche che ne hanno accompagnato la decisione non lo hanno scoraggiato, nonostante le perdite accumulate dalle casse statali con l’acquisto diretto di BTC. Anzi, ora El Salvador sembra avviato verso l’adozione di una stablecoin di Stato, naturalmente tra le polemiche, derivanti dal fatto che ormai questo genere di valuta virtuale tutto sembra in grado di assicurare, tranne la stabilità.

Prima ancora di Bukele, però, è stato Nicholas Maduro a farsi promotore delle criptovalute, in Venezuela. Nel preciso intento di sottrarsi alle sanzioni dei Paesi occidentali, infatti, proprio lui ha promosso il Petro, prima criptovaluta di Stato garantita dalle straordinarie risorse minerarie e petrolifere di Caracas. Dopo questo assaggio, Maduro ha poi promosso la diffusione di wallet gratuiti a favore degli studenti  e il pagamento di provvidenze a favore dei lavoratori statali in denaro virtuale. Una spinta che non è mai venuta meno, anche perché i suoi governati trovano più rassicurante il rischio di cambio di BTC e Altcoin rispetto alla certezza del venire meno del potere d’acquisto di salari e pensioni derivante dai livelli inflattivi troppo alti.

Anche il suo vicino Gustavo Petro, primo presidente della Repubblica di Colombia, è a sua volta un noto sostenitore degli asset virtuali. Tanto da esprimere l’intenzione di usare le criptovalute in qualità di vera e propria testa d’ariete contro l’evasione fiscale. La sua idea è di promuovere l’utilizzo esclusivo di valuta digitale, molto più tracciabile del contante, in modo da togliere terreno sotto i piedi di chi intende sottrarre risorse al fisco, novero in cui rientrano anche i trafficanti di stupefacenti che fanno della Colombia una sorta di narco-Stato.

In questo panorama, non va poi dimenticata Samia Suluhu Hassan, nuovo presidente della Tanzania, la quale ha impresso un vero e proprio cambio di passo rispetto al suo predecessore, Magufuli. È stata proprio lei a chiedere, o meglio ordinare, alla banca centrale del Paese di prepararsi alla massiccia adozione di criptovalute, spazzando via tutti i precedenti divieti che erano stati imposti dal precedente regime. Con tutta evidenza la sua intenzione è di promuovere uno sviluppo economico basato sulla digitalizzazione di finanze ed economia, in linea con il pensiero esplicitato da Satoshi Nakamoto nel suo ormai celebre White Paper su Bitcoin.

Se può avere meno influenza rispetto alle personalità che abbiamo ricordato, non può essere dimenticata in questa carrellata la senatrice repubblicana del Wyoming Cynthia Lummis. Dopo aver ammesso il possesso di Bitcoin, nel corso della sua attività parlamentare si è adoperata per cercare di rendere sempre più distesi i rapporti tra governo e criptovalute. Se con Donald Trump i suoi sforzi sono stati assolutamente vani, una parziale rivincita è poi arrivata, paradossalmente, con la nuova amministrazione democratica, grazie all’ordine esecutivo con cui Joe Biden ha indicato la valenza strategica dell’innovazione finanziaria e del dollaro digitale.

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