La questione relativa a Celsius sembra sul punto di complicarsi non poco. La piattaforma di prestiti crypto che ha chiesto di essere sottoposta al Chapter 11 (ovvero alle procedure collegate alla ristrutturazione del debito dopo il fallimento), intende infatti restituire soltanto 48 milioni di dollari a coloro che sono stati coinvolti nel suo crac. Inoltre, l’azienda ha dichiarato la propria intenzione di scegliere autonomamente gli utenti cui indirizzare quella che può essere considerata a tutti gli effetti alla stregua di una goccia nell’oceano.

I fortunati, se così vogliamo chiamarli, sono coloro che avevano le proprie criptovalute nei programmi di custodia. Sarebbero invece esclusi coloro che avevano le proprie risorse, denaro reale o virtuale, nei programmi di prestito ricompensato, in quanto a detta degli avvocati chiamati a rappresentare il gruppo, lo studio Kirkland ed Ellis, questi ultimi stavano partecipando ad investimenti e sapevano che potevano perdere quanto impiegato negli stessi.

la novità è emersa nel corso dell’ultima udienza di tribunale e se da un punto di vista logico il ragionamento sembra fondato, resta però da capire la ratio di un atteggiamento simile per un’azienda che pure vorrebbe tornare ad operare dopo la ristrutturazione del debito. Anche se ci riuscisse, chi avrebbe più il coraggio di investire soldi a favore di chi non adempie i propri obblighi verso gli utenti?

Celsius: i dubbi sono destinati a restare

Se l’entità dei rimborsi è chiara, non è stato per ora affrontato un ulteriore punto, quello relativo al fatto che si tratti di una prima tranche di essi o se sia la proposta definitiva sulla questione da parte di Celsius. Si tratta comunque di una questione di non poco conto, per l’intero settore crypto. I debiti dell’azienda ammontano a circa 4,3 miliardi di dollari, al minimo, anche se ancora non è stato ultimato il calcolo. Cercare di porre riparo nel miglior modo possibile all’accaduto potrebbe restituire un minimo di fiducia in un gran numero di investitori che hanno visto sparire nel buco creatosi i propri soldi.

Non sembra però questa la direzione intrapresa da Celsius con l’ultima uscita dei suoi avvocati. I fondi attualmente detenuti in custodia stando alle prime stime, sarebbero valutabili in una forbice tra i 200 e i 215 milioni di dollari. Ciò vuol dire che soltanto il 22% circa di questi fondi saranno restituiti ai legittimi possessori. Non sembra in effetti il modo migliore per relazionarsi agli investitori rimasti con il classico cerino acceso in mano.

Celsius ha citato in giudizio Jason Stone e KeyFi

Dal canto suo, Celsius è passata al contrattacco citando in giudizio, presso il Tribunale fallimentare degli Stati Uniti, il protocollo di finanza decentralizzata (DeFi) KeyFi e il suo CEO Jason Stone, ex dipendente dell’azienda di crypto lending fallita. Il motivo alla base della vertenza è il fatto che Stone si sia presentato come esperto di DeFi (Decentralized Finance) dando vita ad una serie di operazioni che hanno comportato la perdita dei token di Celsius per incompetenza e inganno.

La causa  in questione può essere del resto considerata una risposta a quella che KeyFi aveva intrapreso contro Celsius, per il presunto mancato rispetto di un accordo di condivisione degli utili. Oltre a definire la strategia DeFi, l’azienda forniva servizi di staking e proprio nell’ambito di questa attività avrebbe provveduto a sottrarre milioni di dollari in token dai portafogli di Celsius.

Inoltre, gli imputati avrebbero acquistato token non fungibili (NFT) con i fondi di Celsius senza averne autorizzazione, per poi provvedere a trasferirli nei propri wallet prima di venderne alcuni a cifre astronomiche, appropriandosi del ricavato. Infine, Stone e KeyFi avrebbero acquisito partecipazioni in altre aziende crypto e utilizzato Tornado Cash, il protocollo improntato alla privacy caduto di recente in disgrazia presso il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti venendo accusato di riciclaggio, nel preciso intento di far perdere le tracce delle attività in questione.

La vicenda Celsius, con le sue diramazioni, rischia in definitiva di rivelarsi ancora più catastrofica di quanto era già emerso dopo il crac. Alla luce di quanto sta trapelando giorno dopo giorno, infatti, resta da capire se coloro che sono rimasti coinvolti nel crollo della piattaforma, decine di migliaia di persone, avranno ancora voglia di investire il proprio denaro in attività legate all’innovazione finanziaria. Senza contare l’effetto dissuasivo verso coloro che magari stavano pensando di investire soldi nel settore, per sfuggire almeno in parte ad una crisi economica che rischia di essere molto dura, nei prossimi mesi.

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