Nel corso degli anni, da più parti le criptovalute sono state accusate di essere uno strumento nelle mani della criminalità, più o meno organizzata. In particolare, sono state additate alla stregua di una lavanderia di soldi sporchi, tesi in cui si è esercitato ad esempio Davide Serra, il fondatore di Algebris, appoggiato da non pochi politici, in particolare statunitensi, probabilmente non a conoscenza di alcuni aspetti del denaro virtuale che pure avrebbero dovuto consigliare maggior cautela.
La tesi, infatti, è stata immediatamente contrastata dalla Bitcoin Foundation, lesta a ricordare che proprio l’immutabilità dei dati relativi alle transazioni immessi nella blockchain rappresentano invece la chiave di volta per individuare i due estremi delle stesse. Come del resto confermato da Gaspare Jucan Sicignano, un ricercatore dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, autore di “Bitcoin e riciclaggio”, secondo il quale bastano normali tecniche di digital forensic per risalire a chi si nasconda dietro un determinato indirizzo. Identificato l’utente, non occorrerebbe fare altro che adottare il celebre detto di Giovanni Falcone, “segui il denaro e troverai la mafia”, tracciando le risorse impiegate.
Lo stesso Sicignano, ha poi ricordato come anche l’anonimato equivalga ormai a poco meno che una leggenda metropolitana. A spingerlo in tal senso è proprio il varo di normative antiriciclaggio sempre più stringenti, tali da imporre agli exchange l’espressa identificazione di coloro che sono implicati in ogni transazione. La chiusa del ricercatore è del tutto consequenziale a quanto da lui stesso affermato: proprio una nuova organizzazione dell’economia tale da fondarsi sull’icona crypto contribuirebbe a fare terra bruciata intorno alle bande criminali.
Una tesi che ora viene ulteriormente confermata da una fonte autorevole in tema di criminalità, ovvero l’Europol, che lo ha fatto nel corso della sesta conferenza globale sulle finanze criminali e le criptovalute, una riunione di due giorni che ha visto partecipare migliaia di specialisti in asset virtuali e investigatori finanziari provenienti dalle forze dell’ordine, dalle autorità di regolamentazione e dal settore privato, in particolare da CipherTrace, Chainalysis e TRM Labs, tenuta presso la sede di Europol a L’Aia, nei Paesi Bassi.
Europol e criptovalute: cosa è stato detto a L’Aia?
Nel corso della riunione, che si è avvalso dell’apporto del Basel Institute on Governance, è stato sottolineato come l’uso delle criptovalute si sta espandendo praticamente in ogni Paese e settore, facilitando di conseguenza nuovi forme di criminalità. Tra le attività illecite che prevedono l’impiego di denaro digitale nel preciso intento di complicare le attività di contrasto occorre ricordare soprattutto il contrabbando di stupefacenti, il sabotaggio delle competizioni sportive in modo tale da orientarne i risultati e il finanziamento della produzione, dell’acquisizione, del possesso e dell’esportazione di armi di distruzione di massa.
La questione delle Privacy coin
La riunione svoltasi sotto l’egida dell’Europol in Olanda, però, non ha affrontato un tema abbastanza spinoso, quello relativo alle cosiddette Privacy coin, ovvero i token che si propongono di aumentare i livelli di riservatezza delle transazioni sino a rendere anonimi coloro che le impiegano.
Un tema tornato recentemente d’attualità con l’ultimo aggiornamento di Monero, il più celebre esponente di questa particolare categoria di criptovalute. L’adozione di Bulletproofs+, un nuovo protocollo non interattivo con zero knowledge proof inventato da Jonathan Bootle, professore dell’Università di Londra e Benedikt Bunz, dell’ateneo di Stanford, ha infatti portato ancora una volta all’ordine del giorno quell’anonimato che le autorità cercano con ogni modo di spezzare.
Se da più parti si è evocata l’ipotesi di mettere al bando XRM e le sue sorelle, tra cui Dash e Zcash, secondo alcuni ciò non avrebbe alcuna incidenza sulla reale situazione. Basterebbe infatti dare vita ad un fork del progetto principale per vedere rientrare dalla finestra ciò che è stato nel frattempo espulso dalla porta principale.
Anche in questo caso, però, si è sottolineato che la risposta migliore da offrire alle Privacy coin consiste in un rafforzamento sempre più incisivo per quanto riguarda le normative KYC (Know Your Customer) e AML (Anti Money Laundering), in pratica quelle che sono richieste agli exchange in sede di apertura di un conto da parte di un nuovo cliente. Se anche in tempi recenti alcune di queste piattaforme hanno mostrato poca voglia di dispiegare questi accorgimenti legislativi, l’evocazione di provvedimenti drastici, sino alla chiusura delle strutture che non rispondono per filo e per segno alle leggi, potrebbe infine piegare i renitenti.
In questo caso per chi è solito utilizzare Monero la strada sarebbe definitivamente chiusa, data l’impossibilità di tramutare il denaro virtuale in valuta fiat. Resta ora da capire se si vada verso una stretta di questo genere per i token che pure sono indicati tra i maggiori protagonisti dell’economia criminale sul cosiddetto Dark Web, ovvero la parte più nascosta di Internet in cui si svolgono i traffici relativi a stupefacenti, armi, dati ed esseri umani. La recente vicenda di Tornado Cash sembra però dimostrare che le autorità stanno prendendo sempre più in considerazione l’ipotesi di non lasciare liberi di agire questi strumenti.
Leggi anche: Il governo statunitense ha dichiarato guerra alle criptovalute con Tornado Cash?
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