Il mining di criptovalute è ormai da tempo sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica. Con il continuo aggravarsi del problema relativo agli approvvigionamenti energetici prospettato a causa della guerra tra Russia e Ucraina, con conseguente esplosione dei costi in bolletta, la questione è naturalmente tornata ad agitare la discussione all’interno dell’Unione Europea, ove già da tempo si è formato uno schieramento decisamente contrario all’impiego di energia per un’attività considerata assolutamente non strategica.

In particolare, è stata la Svezia a porsi alla testa di un blocco nordico che chiede il bando al mining crypto portato avanti con l’algoritmo di consenso Proof-of-Work (PoW), notoriamente energivoro. Se la questione è stata stralciata dalla recente discussione sul MiCA (Markets in Crypto Asset), ben presto potrebbe però tornare d’attualità. L’Unione Europea, infatti, nell’ambito del percorso che dovrebbe sganciare il vecchio continente dal gas russo e in ottica di lotta al cambiamento climatico ha deciso di tornare sull’argomento. Vediamo quindi cosa si sta profilando.

La Commissione europea intende occuparsi del mining di criptovalute

La Commissione europea si trova di fronte due problemi di non poco conto: la necessità di contrastare il mutamento climatico e l’ottimizzazione delle risorse energetiche al momento disponibili senza dover fare ricorso a quelle provenienti dalla Russia, in modo da sabotarne lo sforzo bellico in Ucraina. Per cogliere i due obiettivi deve da un lato colpire le attività più energivore e dall’altro valorizzare tutto ciò che c’è, senza disperderlo in mille rivoli.

In tale ottica è quindi tornato in una posizione estremamente scomoda il mining di criptovalute condotto con il meccanismo di consenso Proof-of-Work, ovvero quello che caratterizza il Bitcoin, non a caso abbandonato di recente da Ethereum, con il suo Merge.

Basta infatti dare uno sguardo alle statistiche elaborate da alcuni centri specializzati per notare come il consumo di energia da parte della blockchain di BTC (e non solo) continui a viaggiare su livelli elevatissimi. Livelli che potevano essere magari tollerati in momenti di normalità, ma i quali difficilmente possono esserlo quando si presenta la necessità di risparmiare su ogni singolo metro cubo di gas in vista di un inverno che si preannuncia estremamente problematico.

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Mining di criptovalute: il blocco non è più un tabù

Di fronte ad una situazione che definire critica è un eufemismo, si è arrivato a prospettare veri e propri casi limite, ad esempio per l’Italia, ove si ipotizza addirittura il razionamento dell’energia. Una richiesta in tal senso è stata avanzata ad esempio da Confindustria a danno dei consumi privati, i quali dovrebbero essere tagliati di 3°C, con un risparmio di circa 30 milioni di metri cubi al giorno, quasi il 50% del consumo medio giornaliero di tutto il settore industriale. Come si può facilmente immaginare, però, ipotesi di questo genere aprirebbero scenari inquietanti, difficili da prospettare a chi probabilmente dovrà pagare bollette salatissime.

Analoghe proposte sono state avanzate in Germania e in Francia, ma resta la difficoltà di percorrere una strada la quale potrebbe portare ad una lunga serie di tumulti sociali. Per cercare di evitare tutto ciò, la Commissione europea, all’interno di un piano molto articolato per la digitalizzazione del sistema energetico, ha quindi pensato di concedere margini importanti ai Paesi membri al fine di ridurre o addirittura bloccare il mining di criptovalute, nel caso in cui diventasse concreta l’ipotesi di giungere alla fine della stagione in condizioni critiche.

In questa ottica non stupisce che il primo a finire nel mirino dei legislatori possa essere il Bitcoin, i cui processi di estrazione rappresentano ormai una sorta di controsenso, in un momento in cui si chiede a tutti di dare vita a comportamenti virtuosi per cercare da un lato di non sprecare risorse energetiche e dall’altro di puntare su modalità di produzione meno impattanti possibile sull’ambiente.

Non solo il blocco, ma anche la cessazione di agevolazioni fiscali per il mining

Se, però, sinora si era sempre affrontato il discorso relativo al mining condotto con il Proof-of-Work agitando come soluzione il suo bando, ora la proposta della Commissione prende in considerazione anche un’altra modalità di contrasto, quella rappresentata dal blocco di ogni forma di agevolazione fiscale o misura a favore del mercato delle criptovalute. Questa seconda misura è indicata come una prospettiva di lungo termine, ma fa capire come il clima di insofferenza nei confronti del Proof-of-Work stia letteralmente montando.

Attenzione, però, perché il fastidio non coinvolge quel mining condotto invece con l’algoritmo di consenso Proof-of-Stake (PoS), ovvero quello che è stato di recente adottato da Ethereum. Quest’ultimo, infatti, viene addirittura lodato e indicato come una soluzione virtuosa, alla luce della riduzione del 99% in termini di consumi energetici che il Merge ha comportato per le operazioni riguardanti la blockchain di ETH e delle altre reti le quali hanno già da tempo optato in suo favore.

Come era facilmente prevedibile, quindi, con l’aggravarsi della situazione energetica Bitcoin e le altre crypto estratte con il Proof-of-Work rischiano di restare con il classico cerino acceso in mano. Del resto sono i dati disponibili a far capire i motivi del fastidio istituzionale verso queste realtà: il consumo energetico di BTC e token analoghi è infatti esploso nel corso dell’ultimo quinquennio, con un aumento del 900%, mentre nel corso dell’ultimi biennio c’è stato un raddoppio secco. Al momento, si attesterebbe intorno allo 0,4% il consumo di energia a livello globale riconducibile al mining crypto con il PoW. Tanto, come sostengono i detrattori, o poco, come invece affermano i massimalisti del Bitcoin, si tratta di un dato da tenere in conto e, magari, da ridurre in favore di attività più necessarie.

La possibilità di bloccare il mining di Bitcoin a livello europeo torna quindi ad aleggiare sulle capitali europee, come era del resto facilmente immaginabile alla luce delle notizie che continuano ad arrivare sul fronte energetico. Se realmente l’UE intende sganciarsi dal gas russo, ipotesi che resta peraltro tutta da verificare alla luce delle accuse francesi e tedesche contro l’esosità del prezzo di quello proveniente dagli Stati Uniti (secondo il ministro dell’economia di Parigi, Bruno Le Maire costerebbe quattro volte quello praticato alle aziende statunitensi), sarà molto difficile poter continuare a destinare risorse per le mining farm o le blockchain PoW.

Nell’ambito delle politiche che dovranno cercare di dare una risposta al problema è quindi previsto, entro il 2025, l’arrivo di una relazione sull’impatto climatico del mercato delle valute digitali destinato a fare da base agli stati per stabilire con cognizione di causa quali siano le azioni da intraprendere al fine di ridurre l’impatto ambientale del mining. Inoltre, sarà introdotta un’etichetta sul modello di quella vigente per gli elettrodomestici in grado di sintetizzare l’impatto energetico delle singole blockchain. In definitiva, si prospettano tempi duri per il mining di criptovaluta condotto con il ricorso al Proof-of-Work.

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