Sin da quando si è iniziato a parlare di una acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk il personale del social media ha iniziato a scrutare l’orizzonte, per capire cosa ci fosse di vero sulle voci relative a licenziamenti di massa. Un orizzonte sul quale, ora, iniziano ad affacciarsi nuvoloni sempre più neri, almeno stando alle voci le quali si stanno rincorrendo con crescente intensità in queste ultime ore.
I rumor in questione, infatti, sembrano convergere in una sola direzione: taglio del 50% della forza lavoro attualmente impiegata da Twitter. Una cura drastica la quale è stata in particolare evocata da Bloomberg, secondo cui il nuovo proprietario sembra intenzionato a licenziare ben 3700 dipendenti, nel preciso intento di contenere i costi. Naturalmente le voci trapelate hanno seminato il panico nella forza lavoro di Twitter, anche in considerazione del fatto che il momento dell’economia non è dei migliori.
Indice:
I licenziamenti sarebbero in quantità minore rispetto a quanto si temeva
Secondo quanto riferito, Musk sarebbe già al lavoro con un team di consulenti per arrivare alla decisione definitiva. Tra le opzioni che sono sul tavolo di discussione c’è anche quella relativa all’offerta di 60 giorni di TFR per chi sarà costretto ad abbandonare il posto di lavoro. Novità su questo versante sono comunque attese già nella giornata di domani. La libertà di parola evocata dal CEO di Binance, Changpeng Zhao, potrebbe quindi costare molto caro al personale di Twitter, se le indiscrezioni venissero confermate dai fatti.
Per quelli che resteranno, Musk avrebbe inoltre in sebo una ulteriore sorpresa: obbligo di lasciare lo smart working e tornare al più tradizionale ufficio. In questo caso non si tratta assolutamente di una novità, alla luce del fatto che l’uomo più ricco del mondo aveva già intimato ai lavoratori di Tesla e SpaceX di trascorrere non meno di 40 ore in sede, oppure di abituarsi all’idea di lasciare l’azienda.
A parziale consolazione dei dipendenti di Twitter, occorre sottolineare come il piano di cui si vocifera in queste ore sia comunque più morbido rispetto al 75% di tagli della forza lavoro di cui si era parlato in precedenza. Numeri i quali, però, erano stati del resto decisamente negati dallo stesso miliardario di origini sudafricane nel corso della sua visita al quartier generale dell’azienda, a San Francisco. Tra coloro che non devono più temere in tal senso occorre comunque ricordare l’ex CEO Parag Agrawal, il Chief Financial Officer Ned Segal e altri alti dirigenti, i primi a cadere sotto l’impeto di Elon Musk, deciso a mutare completamente di registro rispetto al recente passato.
Twitter, non solo licenziamenti
Se il taglio della forza lavoro è una delle direttrici scelte da Musk per riportare sotto controllo i conti dell’azienda, ci sono in serbo però altre sorprese sotto tale punto di vista. Tra di esse, in particolare occorre ricordare la decisione di portare da 3 a 8 dollari il costo mensile dell’abbonamento su Twitter Blue, la quale potrebbe entrare in vigore già dal prossimo lunedì.
Resta invece da capire se andrà in porto l’integrazione con Dogecoin di cui si è naturalmente parlato a lungo nei giorni passati, alla luce della mai nascosta passione del CEO di Tesla per il celebre meme coin. Indiscrezioni che continuano ad alimentare la bull run di DOGE, nonostante la persistente debolezza del settore delle criptovalute. Sul tema, però, almeno al momento il nuovo proprietario non ha rilasciato dichiarazioni, avendo forse finalmente compreso che ora ha il dovere di parlare coi fatti, più che coi messaggi social.
Così come non sembra per ora all’ordine del giorno l’integrazione di Binance come metodo di pagamento per gli asset virtuali su Twitter. Se il CEO dell’exchange Changpeng Zhao non ha avuto eccessive remore nel proporsi sotto tale punto di vista, forte anche del mezzo miliardo di dollari investito nell’acquisizione del social media, ci sarà da attendere novità in tal senso, le quali sembrano comunque meno pressanti rispetto alla necessità di ridefinire l’organico in forza all’azienda.
Se sinora abbiamo accennato alle tante indiscrezioni che si rincorrono in queste ore, c’è comunque una certezza da evidenziare: non si terrà la conferenza degli sviluppatori (Chirp Developer Conference) che era in programma il prossimo 16 novembre. Una conferenza la quale era in effetti molto attesa dagli interessati, alla luce del fatto che eventi di questo genere non si tengono dal 2015 e dei dissapori non proprio trascurabili del passato tra sviluppatori e azienda.
Twitter, chi affianca Elon Musk nell’acquisizione
Nel frattempo, si vanno precisando i contorni della cordata che ha affiancato Elon Musk nella sua scalata a Twitter. Se non desta sorpresa la presenza di Jack Dorsey, il co-fondatore del sito, notoriamente amico dell’uomo più ricco del mondo, può invece essere considerata una novità quella di Alwaleed bin Talal, principe saudita che ha provveduto ad acquisire 1,9 miliardi di azioni della società mediante la Kingdom Holding, azienda posseduta per il 16,9% dal fondo sovrano dell’Arabia Saudita.
Proprio questo rapporto, però, potrebbe aprire un nuovo fronte di guerra, stavolta con il governo degli Stati Uniti. Il fondo, infatti, è presieduto dal principe ereditario Mohammed Bin Salman, ovvero lo stesso personaggio di recente indicato da Biden come il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi. Accusa seccamente smentita dall’interessato, che ha inoltre invitato gli Stati Uniti a non ingerirsi negli affari sauditi, la quale non può però essere presa alla leggera.
Il disagio della politica a stelle e strisce su questa ingombrante presenza è stato espresso da Chris Murphy, senatore del Connecticut, e potrebbe tornare ben presto a evidenziarsi, soprattutto se il nuovo Twitter venisse scelto da gruppi estremisti di destra come tribuna per mettere in pratica quella libertà di espressione invocata da Changpeng Zhao, che troppo spesso travalica in violenza verbale.
Per quanto riguarda gli altri sostenitori di Elon Musk nella scalata a Twitter, balza in evidenza anche il co-fondatore di Oracle, Larry Ellison. Una presenza destinata a dare maggiore sicurezza ad un mondo degli affari il quale, dal canto suo, sembra defilarsi in attesa di un chiarimento sul futuro di Twitter. In attesa che arrivino indicazioni probanti sulle eventuali nuove politiche in tema di moderazione dei contenuti della piattaforma, alcuni grandi investitori pubblicitari hanno infatti annunciato l’intenzione di ritirare la presenza dei propri contenuti pubblicitari.
La prima grande azienda a muoversi in tal senso è stata General Motors, cui hanno fatto seguito Interpublic Group of Companies (un gruppo di agenzie di comunicazione in attività sin dal 1961 e che ha in portafoglio tra gli altri Unilever Cvs Pharmacy e Nintendo) e Havas Media. In particolare la prima aveva già invitato la propria clientela a sospendere gli investimenti pubblicitari nel caso in cui Musk avesse portato avanti il suo piano teso a “minare” gli standard della comunità, soprattutto quella relativa alla moderazione dei contenuti.
Parole cui ora fanno seguito i fatti, le quali dovranno essere prese molto seriamente da Musk, se vuole effettivamente far quadrare i conti di Twitter senza dover procedere ad ulteriori licenziamenti che fanno paura in un momento delicato dal punto di vista economico come l’attuale.
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