Sta per arrivare la voluntary disclosure anche per le criptovalute, in Italia? La collaborazione volontaria di un contribuente tesa a far emergere capitali che sono stati in precedenza sottratti al fisco è quasi una tradizione per la politica italiana. Secondo i politici che fanno riferimento all’attuale governo si tratta di una necessità per poter riportare alla luce risorse che altrimenti continuerebbero a non pagare, mentre per i colleghi dell’opposizione si tratta invece di un palese regalo agli evasori.
La prossima polemica al riguardo, però, potrebbe riguardare non più, o non solo il denaro contante magari portato su un conto bancario estero, ma quello virtuale. Stando alle indiscrezioni che stanno circolando in queste ore, infatti, il Ministero del Tesoro starebbe studiando l’applicazione di una sanatoria, perché di questo in fondo si tratta al di là dei giri di parole, su Bitcoin e altre criptovalute che sono in possesso ai nostri connazionali.
Una discussione sulla quale, peraltro, si potrebbe abbattere un recente evento che ha portato alla prima regolarizzazione in tal senso. Un vero e proprio precedente sul quale sarebbe magari il caso di riflettere, invece di dare vita all’ennesima crociata ideologica.
Indice:
La prima voluntary disclosure sulle criptovalute in Italia
Il passato 13 ottobre 2022, si è concluso il contraddittorio relativo al primo accertamento volontario teso a regolarizzare un capitale costituito integralmente da denaro virtuale. Il procedimento ha avuto come teatro l’Agenzia delle Entrate di Milano e ha visto la partecipazione dei rappresentanti della Direzione Centrale – Settore contrasto illeciti (Ucifi).
Un vero e proprio evento, considerato come non si sia a conoscenza di precedenti al riguardo, nel nostro Paese. L’obiettivo dell’operazione era quello di ricondurre all’interno di precisi paletti legali i patrimoni in criptovalute costituiti nel passato, in modo tale da potergli collegare un valore fiscale certo. Se sino ad oggi in relazione a fisco e criptovalute la discussione si è concentrata su tematiche come la quota da applicare in sede di tassazione, alla tipologia di reddito da indicare nella dichiarazione e alla compilazione del Quadro RW, ora sembra che la stessa sia pronta per un balzo in avanti.
Un salto di qualità che proprio dal procedimento milanese potrebbe trarre le basi. L’operazione in questione è il frutto della fervida mente di Vittorio Emanuele Falsitta, di VEF&Partners, il quale ha voluto commentare in questo modo quanto accaduto: “Una efficace disciplina giuridica per le criptovalute implica, necessariamente, l’emersione legale dei patrimoni accumulati in passato. Non risanare il passato inibisce l’ingresso nel futuro, impedisce alla ricchezza accumulata di frequentare i circuiti dell’economia reale, innovarla, farla crescere”.
L’auspicio da lui espresso è che il legislatore sia ora in grado di cogliere l’occasione per riuscire a raccogliere elementi di conoscenze e spunti al fine di dare vita ad un’efficace disciplina fiscale la quale non è più procrastinabile, proprio alla luce della consistenza del fenomeno rappresentato dal denaro digitale. Ha inoltre posto l’accento su un altro punto di grande importanza, ovvero la necessità che una eventuale legge preveda non solo la regolarizzazione per il passato, ma anche una copertura per l’eventuale reato di autoriciclaggio. Il pericolo, infatti, per chi facesse riemergere questi soldi è di vedersi accusato di questo reato, che comporta pene detentive tra i due e gli otto anni.
Una lezione per la politica?
Lo stesso Falsitta ha poi avuto buon gioco nel dichiarare che l’intento da cui è partita l’iniziativa era di dimostrare la possibilità di utilizzare le norme esistenti per regolarizzare i patrimoni in questione. Se il procedimento che ne è scaturito può essere considerato artigianale, ad essere innovativa sarebbe però la sua concreta applicazione.
Anche lui ha voluto ricordare i condoni del passato, per escludere però punti di contatto con quanto deciso a Milano. Si tratterebbe invece in quest’ultimo caso di una vera e propria operazione culturale in grado di aiutare a comprendere molti aspetti collegati alle criptovalute. Cui si andrebbe ad aggiungere la regolarizzazione di risorse che darebbero luogo ad un importante prelievo fiscale da parte dell’erario, tanto più prezioso in un momento in cui all’orizzonte sembra profilarsi una grave crisi economica.
Resta ora da capire se il dossier che stando alle indiscrezioni sarebbe sul tavolo del Ministero del Tesoro terrà conto di quanto emerso nel dibattimento milanese. Sarebbe in effetti un primo modo di affrontare una tematica del tutto nuova come quella delle criptovalute, la quale sembra ormai impossibile da ignorare per la politica, proprio alla luce di un’adozione sempre più rilevante di asset virtuali nella vita di tutti i giorni.
Una sanatoria in grado di tenere conto di quanto ricordato da Falsitta, anche in tema di autoriciclaggio, spingerebbe all’emersione tutti coloro che sino a questo momento hanno continuato ad operare senza considerare il tema della tassazione. Persone le quali, peraltro, rischiano non poco anche dal punto di vista penale, considerato come le autorità fiscali potrebbero prima o poi costringere gli exchange a consegnare i nominativi dei clienti italiani avuti sulla base della normativa Know Your Customer (KYC).
Anche un disegno di legge del M5S prevedeva una sanatoria
Se è facile prevedere polemiche sulla sanatoria, occorre però anche ricordare come un provvedimento analogo fosse previsto in un disegno di legge presentato nella passata legislatura ad opera di Elena Botto, del Movimento 5 Stelle, il partito che più di altri si è speso sinora sul tema.
Incentrato sul trattamento fiscale delle criptovalute, il provvedimento affermava infatti la necessità di un condono a favore di tutti coloro che negli anni passati non le avevano dichiarate, nonostante il possesso. In particolare al suo interno non erano previste sanzioni di alcun genere e un’aliquota tra l’8%, sino a 500mila euro, e il 10%, per i valori a salire. Non sembra utopico pensare che per evitare polemiche il governo punti proprio su di esse.
Leggi anche: Staking di criptovalute? Per l’Agenzia delle Entrate è reddito da capitale
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