Se non si tratta di un nuovo Dieselgate, lo scandalo che travolse Volkswagen nel 2015, poco ci manca, almeno a giudicare dalle prime reazioni. Una ricerca indipendente condotta dall’Università di Graz e dal gruppo Transport & Environment (T&E) non sembra lasciare molti dubbi al proposito: le auto ibride emettono una quantità di Co2 molto superiore a quella che viene invece dichiarata dai produttori. La ricerca è stata condotta su strada e ha visto al centro di essa una serie di modelli di Bmw, Renault e Peugeot. Basti pensare che la Serie 3 del brand teutonico arriva ad inquinare più di tre volte nei confronti di quanto indicato nelle stime di fabbricazione. Senza purtroppo rappresentare, però, un’eccezione.

Una ricerca tale da non lasciare dubbi

Com’è ormai noto, entro il 2035 l’Unione Europea si è impegnata a bandire la vendita di nuovi modelli a benzina e diesel. Il tutto nell’ottica di una transizione ecologica che sta però seminando non poche perplessità e proteste, le quali sembrano ora destinate ad essere rinvigorite dallo studio austriaco.

Non solo gli standard attuali sembrano del tutto insufficienti, per usare un eufemismo, nell’ottica di azzerare le emissioni nocive dell’automotive, ma i dati forniti dalle case sarebbero palesemente truccati. Già nel corso del 2020 un rapporto aveva dimostrato come i benefici asseriti dalle case di produzione per i veicoli plug-in hybrid, categoria in cui vanno a rientrare tutti i veicoli elettrici i quali abbinano una batteria al tradizionale motore elettrico, non sono reali. Se da un lato permettono di di bypassare la strozzatura derivante dalle frequenti soste presso le stazioni di ricarica, dall’altro lato i loro consumi sono incompatibili con gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi sul clima.

I risultati di quella ricerca sono ora in pratica confermati dai dati pubblicati da Transport & Environment (T&E), che aveva commissionato alla University of Technology di Graz un nuovo studio teso a comprendere se l’uscita dei modelli più recenti avesse comportato miglioramenti di un qualche rilievo. Lo studio in questione si intitola “Plug-in hybrids 2.0: A dangerous distraction, not a climate solution” e i risultati ottenuti non sono stati quelli sperati inizialmente. Condotti su una distanza di 55 chilometri, quindi abbastanza limitata, hanno visto la Bmw Serie 3 emettere sino a 112 grammi di Co2 al chilometro, in pratica il triplo di quanto dichiarato dall’azienda (36 grammi).

Va leggermente meglio nel caso della Peugeot 308, la quale si limita a sforare il dato indicato nell’ordine del 20% rispetto ai 27 grammi per chilometro che vengono indicati da Stellantis. Sale invece al 70% lo sforamento in questione se si prendono i dati dimostrati dall’utilizzo di una Renault Megane. Se i test condotti in laboratorio indicano emissioni intorno ai 30 grammi per chilometro, il dato su strada si allontana notevolmente, dando modo agli esperti di trarre le seguenti conclusioni: le auto non sono in grado, una volta messe in strada, di confermare l’autonomia elettrica nel traffico, se non per archi temporali limitati. Soltanto la Renault Megane è riuscita a dare risultati soddisfacenti, anche se non è detto che sia in grado di confermarli sulle distanze più lunghe. La Peugeot 308 ha in pratica retto per il 53% del percorso, contro il 74% della BMW Serie 3.

Occorre peraltro aggiungere che i risultati in questione trovano ulteriore conferma in una ricerca condotta da “Which?”, una associazione britannica la quale difende i diritti dei consumatori. In questo caso, peraltro, i costi necessari per la benzina si sono poi rivelati più alti di quelli che gli acquirenti si attendevano quando hanno acquistato questi modelli.

Le procedure standard sono ora sotto accusa

I risultati ottenuti nel corso dei test che abbiamo ricordato hanno in pratica portato sul banco degli imputati le procedure standard World harmonized Light vehicles Test Procedure (WLTP), con cui sono condotte al momento le verifiche degli autoveicoli.

In pratica, le condizioni le quali vengono ricreate in maniera artificiale in laboratorio non hanno molta attinenza con ciò che avviene nel corso delle operazioni di guida reale. Una volta provati i modelli su strada, infatti, i risultati si discostano in maniera sin troppo significativa per poter essere presi sul serio.

Il risultato del test ha quindi spinto Anna Krajinska, responsabile delle emissioni degli autoveicoli all’interno di T&E, a concludere che i governi nazionali dovrebbero a questo punto limitare gli incentivi per la produzione e l’acquisto di auto esclusivamente elettriche, negandoli invece a quelle ibride. Una tesi che sembra destinata a suscitare un vero e proprio polverone, considerata l’incidenza dei bonus sugli acquisti di autoveicoli in un momento così problematico dal punto di vista economico.

La difesa delle case, peraltro, non sembra eccessivamente indovinata. Le aziende affermano infatti di non potersi discostare dallo standard WLPT nel momento della comunicazione dei dati. Una difesa abbastanza spuntata, la quale si aggiunge ad una considerazione relativa alla funzione dell’ibrido nella fase di transizione che dovrebbe infine condurre alla piena mobilità elettrica.

BMW, a sua volta, sostiene che i modelli ibridi rivestono un ruolo importante nella transizione verso la piena mobilità elettrica, in quanto è più probabile che i proprietari dopo aver assaporato il livello intermedio è più probabile che decidano in futuro di passare ai veicoli a batteria in futuro.

Una tesi, quella delle case, contrastata con forza dagli ambientalisti, secondo i quali abbellire i dati spingerebbe i governi nazionali ad una comprensione nei confronti della filiera dell’automotive che risulta estremamente inquinante, in termini di carbonizzazione. Il sottinteso è evidente: occorre usare il pugno duro. Resta da capire se la politica sarà in grado di farlo.

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