Di ChatGPT si parla ormai da settimane e per vari motivi. Dopo le discussioni sulla sua reale capacità e utilità, sull’utilizzo commerciale all’interno dei prodotti destinati al web e sulle ricadute negative in termini occupazioni, ora il programma di OpenAI entra di diritto in quella relativa alla geopolitica. A introdurlo di prepotenza in questo particolare ambito è stata la decisione presa dalla Cina. Il governo di Pechino ha infatti bandito il chatbot dal territorio nazionale, in quanto rappresenterebbe una minaccia alla sua sovranità.

Fuori ChatGPT dalla Cina: è una minaccia alla sicurezza e alla sovranità nazionale

La Cina ha bloccato i servizi basati su ChatGPT in tutto il Paese. A giustificare questa decisione è il pericolo rappresentato dall’intelligenza artificiale di OpenAI per alcuni aspetti cruciali. La notizia è stata data da fonti locali, secondo le quali il Governo di Pechino avrebbe imposto a tutte le compagnie attive sul territorio cinese di non offrire alcun servizio legato a ChatGPT entro i confini nazionali.

In un post pubblicato sul profilo Weibo del governo stesso, verrebbe esplicitato il convincimento che il chatbot sarebbe un pericolo per la sicurezza e la sovranità del Paese. Sempre su Weibo, è stato poi il China Daily a spiegare meglio la sostanza della questione: il bot di OpenAI potrebbe aiutare il governo di Washington a diffondere notizie di comodo tese a manipolare l’opinione pubblica cinese per i propri particolari scopi geopolitici.

L’intera vicenda, quindi, può essere vista come l’ennesimo atto della crescente ostilità tra Cina e Stati Uniti, di cui è evidente testimonianza l’avviso recapitato di recente a Pechino affinché non fornisca armi alla Russia. Un’ingiunzione cui il gigante orientale ha risposto a stretto giro di posta, ricordando che al momento sono gli Stati Uniti a fornire armi a una delle parti in causa, ovvero l’Ucraina.

Cosa accadrà ora

Dopo la pubblicazione della notizia, naturalmente in molti hanno iniziato a chiedersi cosa potrebbe accadere ora, proprio alla luce di una situazione estremamente tesa tra i due Paesi, con tanti fronti di guerra, tra cui quello commerciale.

Dalle prime indiscrezioni emerse, saranno le grandi aziende tecnologiche cinesi le prime interessate delle ricadute della decisione governativa. L’esecutivo, infatti, avrebbe intimato a Tencent e Alibaba l’immediata sospensione di servizi collegati a ChatGPT sulle proprie piattaforme, direttamente o tramite terze parti.

Se aziende ricadenti nell’orbita di Pechino vorranno poi lanciare propri chatbot o servizi collegati all’AI, dovranno prima riferire alle autorità governative chiamate ad occuparsi del settore. Senza un’autorizzazione dell’autorità di regolamentazione, non potranno procedere. Facendolo incapperebbero nelle ire del potere politico, già assaggiate in precedenza da altre aziende.

ChatGPT non è al momento presente in Cina

Occorre a questo punto specificare che il servizio di ChatGPT non è al momento disponibile in Cina. Molti utenti, però, hanno utilizzato VPN (Virtual Private network) per accedere all’app.

Inoltre, su WeChat, l’equivalente cinese di WhatsApp detenuto da Tencent, sono già disponibili programmi che sono basati sul chatbot di OpenAI. Proprio Tencent ha immediatamente deciso di obbedire all’avviso governativo, bandendo tutti coloro che forniscono ChatGPT o servizi correlati in Cina. Una decisione ispirata dal fatto che l’azienda ha già subito in passato provvedimenti sanzionatori che l’hanno seriamente danneggiata. Anche perché la stessa Tencent potrebbe a sua volta optare per lo sviluppo di un bot simile e diventare concorrente diretta di Microsoft e Google, altra azienda che sta spingendo molto sull’intelligenza artificiale, con Bard.

Anche la Cina sta spingendo per l’intelligenza artificiale

Il bando di ChatGPT in Cina sembra una diretta risposta alla sempre più evidente ostilità del governo di Washington verso il gigante asiatico. Va ricordato che proprio gli Stati Uniti hanno deciso di bandire TikTok dagli smartphone dei membri della Camera dei Rappresentanti, accusando l’app di essere una sorta di emanazione del partito comunista cinese.

Accanto alle politiche sanzionatorie, però, il governo cinese sembra deciso a portare avanti una sua via all’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa. Proprio per questo osserva con molta attenzione i lavori portati avanti da Baidu (con il suo bot Ernie) e Alibaba, oltre che da aziende forse meno note a livello internazionale, ma estremamente potenti, come JD.com e NetEase Inc.

Nel corso della passata settimana, inoltre, la Fudan University di Shangai ha lanciato la propria versione di chatbot, MOSS, aprendo ai test pubblici. In questo caso, però, i risultati sono stati assolutamente inferiori alle attese, in quanto il programma è andato presto fuori uso, non riuscendo a rispondere in maniera adeguata alle domande che gli sono state rivolte.

Tutti coloro che stanno lavorando ad ipotesi di questo genere, hanno comunque inteso rassicurare il governo di Pechino sull’intenzione di rispettare le linee guida che saranno stabilite a livello statale. Con tutta evidenza, nessuno vuole fare la fine di Jack Ma, il fondatore di Alibaba che è uscito praticamente con le ossa rotte dal dissidio con l’esecutivo, tanto da doversi praticamente ritirare a vita privata.

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