Il mondo delle criptovalute si trova di nuovo in una situazione a dir poco precaria. Se dopo i crac di Terra (LUNA) e FTX, con il corollario di crolli innescati, si poteva pensare che la situazione potesse tornare presto alla normalità, ora si scopre che si tratta in pratica di un pio desiderio. In queste ore, infatti, si sta propagando una nuova ondata di timori, a causa della vicenda Silvergate, che sta nuovamente zavorrando il mercato crypto trascinandolo al ribasso. Non appena sono emerse le prime indiscrezioni sull’ormai probabile fallimento della banca, Bitcoin, Ethereum e la stragrande maggioranza delle altcoin hanno iniziato a perdere quota.

Silvergate: un nuovo crac è alle porte?

Silvergate è una banca californiana specializzata nell’offerta di servizi rivolti a aziende operanti del settore dell’innovazione finanziaria. In una sola giornata il suo titolo collocato presso il Nasdaq ha perso il 52% del suo valore, ritornando in pratica al punto in cui si trovava nel 2019, con una capitalizzazione pari a meno di mezzo miliardo di dollari.

Un crollo dovuto all’annuncio che la società non sarebbe stata in grado di presentare alla Securities and Exchange Commission (SEC) la relazione annuale 10-K, il documento che ogni anno le società quotate in borsa devono depositare per poter rispondere ai quesiti posti dalla società di revisione cui si affidano e a quelli dei revisori contabili indipendenti.

Inoltre, Silvergate ha rilasciato una dichiarazione “previsionale” in cui afferma che con ogni probabilità sarà costretta ad affrontare indagini da parte del Department of Justice (DoJ) e delle autorità di regolamentazione dei mercati finanziari statunitensi. Aggiungendo poi un vero e proprio carico da undici: il prossimo anno le potrebbe essere impossibile continuare ad operare alla stregua di un’azienda in attività. Detto in parole povere, Silvergate è ormai in procinto di chiedere l’inclusione nel Chapter 11, la procedura che negli Stati Uniti equivale al nostro fallimento.

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Silvergate: cosa potrebbe accadere ora

Naturalmente, coloro che hanno investito i propri soldi nella banca stanno cercando di capire meglio cosa potrebbe accadere ora. In attesa di saperlo, occorre però sottolineare che Coinbase, Paxos, Circle, Gemini, Crypto.com e altre entità del settore hanno deciso di sospendere i trasferimenti automatici e le altre transazioni con la banca.

Una decisione che suona però tardiva, considerato come già nel quarto trimestre del 2022 Silvergate abbia collezionato una perdita pari a un miliardo di dollari, dopo la vendita di titoli a prezzi stracciati tesa ad evitare la classica corsa agli sportelli.

Una vendita seguita da quelle di gennaio e febbraio la quale, però, non sembra aver sortito effetto alcuno. Il problema, comunque, non riguarda soltanto gli investitori della banca o chi ha rapporti commerciali con essa. A rischiare di essere di nuovo travolto è infatti l’intero settore delle criptovalute, non a caso entrato in grave affanno subito dopo che hanno iniziato a circolare le notizie più scottanti.

Bitcoin sta di nuovo crollando

Nelle ore immediatamente successive alle indiscrezioni sul possibile crac di Silvergate, il Bitcoin è tornato a perdere in maniera sanguinosa, lasciando sul terreno oltre sei punti percentuali del suo valore. Dopo aver conseguito quella quota 23.500 dollari che sembrava porre le basi per una nuova bull run, BTC ha iniziato a flettere rovinosamente e a tendere verso i 20mila dollari. Si è poi verificato un assestamento, che secondo alcuni osservatori potrebbe però rappresentare il preludio ad un vero e proprio inabissamento.

Un andamento del resto simile a quello di Ethereum, anch’esso in forte difficoltà, e di molte altre Altcoin. In pratica tutti coloro che fanno trading di criptovalute sembrano in attesa di capire meglio come potrebbe evolvere il mercato. La speranza è che non prevalga il panico, che comporterebbe perdite miliardarie per i tanti trader al dettaglio che non dispongono di un salvagente. Oltre a poter innescare di nuovo un effetto contagio con altre realtà che hanno intrattenuto rapporti commerciali con l’azienda, come è già accaduto nel caso di FTX.

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