Negli scorsi giorni a Dubai si è tenuto il World Government Summit, un forum annuale che riunisce governi e imprese di tutto il mondo per discutere di temi cruciali come lo sviluppo sostenibile o l’innovazione tecnologica e condividere idee per affrontare le sfide globali.
Nel corso del proprio intervento Jensen Huang, CEO di NVIDIA, ha sovvertito completamente una delle convinzioni più radicate, quasi un luogo comune ormai, riguardo il corso di studi più adatto e promettente per i giovani appassionati di innovazione tecnologica: la programmazione informatica.
Le dichiarazioni del CEO di NVIDIA
“Negli ultimi quindici anni”, ha detto Huang, “abbiamo sempre detto che sarebbe stato vitale per i nostri bambini imparare la computer science, come programmare i computers. In realtà è quasi esattamente l’opposto”.
Questo perché, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, secondo Jensen Huang non ci sarà più bisogno di conoscere i vari linguaggi di programmazione per far fare ad un computer ciò che vogliamo. Basterà il linguaggio naturale, quello che usiamo tutti i giorni e che impariamo dalla nascita, l’AI penserà alla programmazione vera e propria. “Tutti nel mondo adesso sono programmatori. È il miracolo dell’intelligenza artificiale” ha concluso il CEO.
Nella visione di Jensen Huang il fatto di delegare la programmazione vera e propria all’intelligenza artificiale ci darebbe la possibilità di concentrarci maggiormente in discipline quali biologia, educazione, manifattura, agricoltura e così via. Sarà però necessario educare più persone possibile all’utilizzo dell’”AI programming”.
Tutte le volte che la programmazione è morta
La clip dell’intervento del CEO di NVIDIA è circolata parecchio su internet, specialmente su X, e non è sfuggita all’analista Patrick Moorhead che ha commentato sarcastico “Per oltre 30 anni ho sentito che XYZ avrebbe ucciso la programmazione informatica, eppure tutt’ora non abbiamo abbastanza programmatori” portando poi l’esempio del desktop publishing (DTP), ossia la possibilità di autopubblicare riviste, libri, manifesti e così via, che non ha “ucciso” né la creatività né l’industria editoriale, ma l’ha integrata ed estesa.
L’obiezione di Moorhead è quindi che, se anche fosse vero che delegheremo la creazione di software all’intelligenza artificiale, questo non vuol dire che la figura del programmatore non rimanga comunque importante e che, dunque, la proposta di mettere da parte lo studio della computer science da parte delle nuove generazioni è, come minimo, un’esagerazione.
Come abbiamo visto il dibattito sul futuro dell’intelligenza artificiale è ancora in corso e le opinioni, anche degli esperti, possono contraddirsi. A questo punto non ci rimarrà che aspettare e vedere dove ci porterà l’implementazione di questa tecnologia nella nostra quotidianità.
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