DJI, la società cinese tra le più note e importanti per la produzione di droni, denuncia come sia di fatto impossibilitata a vendere il suo ultimo drone, l’Air 3S. Un drone DJI Air 3S oltretutto molto interessante che rappresenta una significativa evoluzione per i modelli consumer che prevede, tra le altre cose, un sistema con doppia fotocamera e tecnologie di livello professionale come il rilevamento LiDAR. Ma cosa sta succedendo? Qual è il problema che blocca la vendita dei droni DJI?

Forse non è solo un problema doganale

In una lettera inviata ai distributori DJI ha spiegato di ritenere le restrizioni all’importazione una parte di un’iniziativa più ampia del Dipartimento per la sicurezza interna finalizzata a esaminare la provenienza dei prodotti, in modo particolare i droni di fabbricazione cinese.

Facciamo un passo indietro di un mese quando la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha votato per vietare ai nuovi droni DJI di operare sul territorio statunitense. Il blocco delle importazioni, riferisce sempre DJI, sarebbe da individuare nell’Uyghur Forced Labor Prevention Act (UFLPA). Questa è la legge degli Stati Uniti (entrata in vigore nel 2022) che ha come obiettivo quello di contrastare il lavoro forzato nella regione autonoma uigura dello Xinjiang in Cina, vietando l’importazione di beni prodotti totalmente o parzialmente in quella regione.

La lettera di DJI definisce questi sospetti infondati e categoricamente falsi. Per i legislatori statunitensi c’è anche la preoccupazione che i droni DJI rappresentino un rischio per la trasmissione dei dati, la sorveglianza e la sicurezza nazionale. Accuse che anche in questo caso DJI respinge.

Sul suo blog ufficiale DJI ha ribadito di essere in possesso di prove che dimostrano chiaramente la conformità dell’azienda alle leggi esistenti. Entrando più nello specifico, pur constatando che le autorità statunitensi hanno la facoltà di trattenere i beni anche in assenza di prove tangibili, DJI conferma di non produrre (neanche parzialmente) nello Xinjiang e che in quella regione autonoma cinese non ha stabilimenti di produzione né forniture di materiali. I suoi prodotti, spiega DJI, sono realizzati a Shenzhen o in Malesia.

La questione, com’è facile immaginare, è molto più complessa e sembrano evidenti ragioni politiche dietro questa vicenda. Da una parte DJI sostiene di non essere nell’elenco delle entità UFLPA gestito dal Dipartimento della sicurezza interna, ma in passato l’azienda cinese è stata inserita nell’elenco delle entità gestito dal Dipartimento del commercio con il sospetto di aver fornito droni al governo cinese per sorvegliare gli uiguri.

Dal punto di vista prettamente normativo il voto del mese scorso della Camera dei rappresentanti deve essere confermato anche dal Senato e al momento nei confronti di DJI non risulta alcun divieto. DJI ha anche precisato come quello che ritiene un problema doganale abbia interessato prevalentemente i droni aziendali e agricoli, ma che di fatto impedisce anche di vendere l’Air 3S ai clienti statunitensi.

Tecnicamente, infine, anche nel caso in cui le importazioni di prodotti DJI venissero vietate la legge in esame prevede che gli attuali proprietari possano comunque utilizzare i loro droni, ma non verrebbe più autorizzato l’utilizzo di dispositivi DJI dotati di tecnologie radio. Il che, di fatto, bloccherebbe tutte le importazioni.

DJI intanto ha affermato di collaborare attivamente con la US Customs and Border Protection (CBP) per fornire tutta la documentazione necessaria. Respingendo le accuse su eventuali violazioni l’azienda cinese attende l’evolversi della situazione pronta ad aggiornare partner e clienti sui prossimi sviluppi.

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