Piracy Shield, piattaforma antipirateria nata dalla collaborazione di AGCOM e SP Tech, il cui scopo è quello di bloccare tempestivamente (entro 30 minuti dalla segnalazione) tutti quei siti web che trasmettono in maniera illegale eventi protetti dal diritto d’autore, è un nome ormai noto ai più.
Dalla sua nascita la piattaforma ha avuto alti e bassi, dalla pubblicazione del codice sorgente sul web, all’entrata in gioco di Mediaset, passando per il lancio della versione 2.0 fino ad arrivare al blocco per errore di Google Drive. Per quanto le associazioni interessate, da AGCOM alla Lega Calcio, tessano le lodi di Piracy Shield, ci sono anche diversi detrattori e, tra questi, recentemente hanno fatto sentire la propria voce alcune delle aziende più influenti del settore.
La CCIA esprime diverse preoccupazioni su Piracy Shield
Il dibattito attorno a Piracy Shield si fa sempre più acceso, dopo settimane di osservazioni, critiche tecniche e interrogativi giuridici sollevati da più parti, arriva ora una presa di posizione pesante e significativa: la Computer & Communications Industry Association (CCIA), che rappresenta alcuni dei principali attori globali del settore digitale tra cui Amazon, Apple, Google, Meta e Cloudflare, ha infatti inviato ad AGCOM una lettera ufficiale che esprime forti perplessità sull’intero impianto regolatorio e operativo della piattaforma.
Come molti di voi avranno notato, Piracy Shield è uno degli strumenti più discussi degli ultimi mesi, non solo per le sue finalità (di per sé condivisibili, come la tutela dei diritti d’autore online) ma soprattutto per il modo in cui è stato concepito, sviluppato e proposto all’interno del contesto normativo italiano.
Secondo quanto evidenziato dalla CCIA nella propria lettera inviata ad AGCOM all’inizio di aprile, i problemi risiedono innanzitutto nella totale mancanza di trasparenza del sistema: il fatto che Piracy Shield sia stata sviluppata da SP Tech, una società controllata dalla Lega Serie A, che è anche a conti fatti una delle principali beneficiarie dirette del suo utilizzo, solleva evidenti dubbi sul piano della neutralità e dell’imparzialità dell’infrastruttura.
Non è un caso, infatti, che la partecipazione al tavolo tecnico sia stata, secondo la CCIA, limitata a pochi soggetti, escludendo gran parte degli attori coinvolti nella gestione dei contenuti online. In altre parole, si è creato un pericoloso squilibrio decisionale, che potrebbe sfociare in un utilizzo distorto o eccessivamente discrezionale della piattaforma.
Al di là delle questioni di governance, la lettera della CCIA affronta anche i rischi concreti e già osservabili derivanti dall’adozione di Piracy Shield. Tra questi, emerge in modo particolare il fenomeno del cosiddetto overblocking, ossia il blocco di servizi legittimi che, per mera condivisione di IP con piattaforme pirata, finiscono per essere coinvolti nel processo di oscuramento; un esempio concreto? Google Drive, citato esplicitamente come uno dei servizi penalizzati in modo ingiustificato.
Oltre a ciò la CCIA definisce irrealistico e tecnicamente insostenibile il termine di 30 minuti previsto dall’articolo 10 del regolamento in consultazione per eseguire un ordine di blocco, tale scadenza, secondo l’associazione, rischia di ledere gravemente le garanzie procedurali, in particolare per l’assenza di una verifica preventiva e di un contraddittorio effettivo.
A questo si aggiunge un altro punto particolarmente controverso, ovvero il nuovo articolo 8, comma 3-bis, che conferisce ad AGCOM il potere di ordinare la rimozione di contenuti ospitati su server situati all’interno dell’Unione Europea, in nome di una generica applicazione del Digital Services Act. Una formulazione che, come facilmente intuibile, apre il fianco a interpretazioni soggettive e ad un’estensione extraterritoriale dei poteri dell’Autorità che, secondo la CCIA, non trova un fondamento chiaro nel quadro normativo attuale.
Alla luce delle criticità evidenziate, la CCIA propone un cambio di paradigma: abbandonare l’attuale logica del blocco tecnico a livello di rete, che viene definito facilmente aggirabile, spesso sproporzionato e inefficace sul lungo termine, per orientarsi invece verso un approccio più mirato, basato sulla rimozione dei contenuti alla fonte e sull’identificazione diretta dei soggetti responsabili della violazione.
Un richiamo forte, che chiama in causa l’efficacia stessa del sistema Piracy Shield, ma anche la sostenibilità giuridica e tecnica di una piattaforma che, per come è stata concepita, rischia di creare più problemi di quanti ne risolva.
AGCOM ha avviato una consultazione pubblica proprio per raccogliere osservazioni e suggerimenti prima della definitiva approvazione del regolamento, e la posizione della CCIA rappresenta un segnale importante, che difficilmente potrà essere ignorato. Bisognerà attendere per capire se, e in che misura, l’Autorità terrà conto delle critiche ricevute, magari rivedendo l’impianto normativo alla base del sistema o introducendo maggiori garanzie procedurali per evitare abusi ed errori.
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