Un nuovo terremoto colpisce la catena globale di approvvigionamento, la Cina ha deciso di sospendere le esportazioni di sette metalli delle cosiddette “terre rare” e dei relativi magneti, bloccando di fatto la distribuzione internazionale di elementi fondamentali per numerosi settori strategici dall’automotive all’aerospazio, passando per i semiconduttori e la difesa.

La misura, entrata ufficialmente in vigore il 4 aprile 2025, rappresenta una risposta diretta e mirata all’aumento dei dazi statunitensi annunciato pochi giorni prima dall’amministrazione Trump, e si inserisce in un contesto geopolitico sempre più teso e interconnesso.

La Cina risponde ai dazi bloccando le esportazioni di terre rare

Molti di voi avranno sentito parlare delle “terre rare”, ma non tutti magari sanno esattamente cosa siano: si tratta di un gruppo di 17 elementi chimici (come il neodimio, il disprosio, il praseodimio e il terbio) fondamentali per la produzione di componenti ad alte prestazioni, come magneti per motori elettrici, sensori, laser, microprocessori e radar. In parole semplici, senza terre rare non esisterebbero né le auto elettriche né molti dei dispositivi elettronici di uso quotidiano, né tantomeno sistemi avanzati in ambito militare o aerospaziale.

Non è un segreto che la Cina sia il principale attore globale nel mercato delle terre rare, con una quota pari a circa il 90% della produzione mondiale e il 60% delle riserve conosciute; questa dipendenza, che riguarda tanto gli Stati Uniti quanto l’Europa e il Giappone, è ora diventata un punto critico, soprattutto in un momento in cui le tensioni commerciali si stanno nuovamente intensificando.

Secondo quanto riportato, numerose spedizioni sono attualmente bloccate nei porti cinesi, e le aziende esportatrici sono in attesa dell’implementazione di un nuovo sistema di licenze, la cui tempistica però, rimane incerta. Alcuni operatori del settore stimano che il rilascio delle licenze potrebbe richiedere fino a 60 giorni, con il rischio concreto che le scorte attualmente disponibili si esauriscano ben prima.

Il blocco imposto dalla Cina rischia di avere ripercussioni immediate su interi comparti produttivi, le aziende automobilistiche (specie quelle impegnate nello sviluppo di veicoli elettrici) potrebbero trovarsi a corto di materiali essenziali per realizzare le componenti di cui necessitano, mentre il comparto dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale rischia di subire ritardi nella produzione di componenti avanzati.

Una situazione che, come detto, non riguarda solo gli Stati Uniti, anche l’Europa e il Giappone infatti sono fortemente dipendenti dalle forniture cinesi e si trovano ora nella posizione di dover accelerare gli sforzi per diversificare le fonti di approvvigionamento.

Una possibile via d’uscita, come spesso accade, è rappresentata dalla diversificazione: secondo un recente rapporto della Chinese Academy of Sciences, pubblicato sulla rivista Chinese Rare Earths, entro il 2035 la quota cinese potrebbe scendere al 28% e addirittura al 23% entro il 2040, grazie alla scoperta di nuovi giacimenti in Africa, Australia e Sud America. Una prospettiva che certamente fa ben sperare, ma che non offre soluzioni immediate, servono investimenti, tecnologie estrattive avanzate e tempi tecnici di sviluppo che non si misurano in settimane, bensì in anni.

La sospensione delle esportazioni da parte della Cina rappresenta un chiaro segnale politico ed economico, le risorse naturali critiche sono, oggi più che mai, leve di potere internazionale; l’occidente è chiamato a rispondere non solo con misure di emergenza, ma con strategie di lungo periodo capaci di garantire l’autonomia tecnologica e produttiva in settori chiave come la mobilità elettrica, i microprocessori e la difesa.